L’(in)consapevole testamento del Maestro Camilleri: L’autodifesa di Caino

 

Andrea Camilleri

AUTODIFESA DI CAINO

A cura di Arianna Mortelliti

Sellerio, Palermo 2019

«Il divano»

Pagine 96

€ 8,00

 

«Non voglio che pronunciate il vostro verdetto ora. Riflettete su quanto vi ho raccontato questa sera e decidete da voi. Secondo coscienza»[1]

L’autodifesa di Caino finisce così, con l’invito dell’autore alla riflessione prima e alla presa di posizione poi. Utilizzando quella libertà di sentire ed esprimere le proprie opinioni, senza restrizioni né condizionamenti, che è figlia delle posizioni laiche e liberali di fine Settecento.

L’autore di questo intenso monologo, Andrea Camilleri, non ha bisogno di presentazioni. Pur essendo, a conti fatti, la trasposizione di un testo teatrale – che avrebbe dovuto essere rappresentato lo scorso 15 luglio nelle suggestive Terme di Caracalla, a Roma – tale libretto ha la medesima dignità letteraria dei romanzi dello scrittore marinisi, scomparso il 19 luglio 2019. Prematuramente, è il caso di aggiungere nonostante la veneranda età di 94 anni: perché la morte di un intellettuale del suo calibro si fa sempre fatica ad accettare. Avrebbe potuto lasciarci ancora tanto. Ma questa è un’altra storia.

Quella che in una settantina di pagine Camilleri imbastisce, indossandone le vesti, è la difesa di Caino, il primo omicida della storia umana. A parlare è sì Caino, che pronuncia la sua autodifesa immaginando di trovarsi in un’aula di tribunale davanti a dei giurati – gli spettatori/lettori – ma in ogni parola, in ogni segno di interpunzione, persino in ogni pausa, il lettore può sentire – come evidenzia anche l’editore nella nota introduttiva – la voce del Maestro, che si interroga e ci interroga sul male[2]. Sentimento che è ancora, dopo millenni, presente sulla Terra. E negli uomini. Caino ci conferma verso la fine del soliloquio, infatti, di continuare a vivere in mezzo a noi perché, forse, è «diventato un simbolo. Un simbolo necessario perché senza il male il bene non esisterebbe»[3]. Un simbolo che si palesa subito, senza indugi né reticenze: «Signore e signori del pubblico permettete che mi presenti: sono Caino»[4]. Ma che ormai non desta più meraviglia perché, dirà egli stesso, «agli assassini ci avete fatto, come si usa dire, il callo»[5]. Come dargli torto? Dagli innumerevoli conflitti locali alle due guerre mondiali, dalle pulizie etniche alle stragi, dagli attentati ai femminicidi ne è passato di male sotto i ponti. Chi può affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che tutto questo non sarebbe accaduto se non ci fosse stato Caino? Difficile dirlo.

Al di là della puntuale ricostruzione dei fatti, a emergere sono spunti di riflessione che, pur provenendo da migliaia di anni fa, si dimostrano più attuali che mai. Forse è proprio questo l’intento di Camilleri: stuzzicare la nostra mente su temi che ieri come oggi ci affascinano tanto quanto ci spaventano.

La disquisizione sul male inteso come essenza insita «in noi nell’attimo stesso in cui veniamo al mondo» pervade l’intera opera: la descrizione dello «sguardo assassino di Abele»[6] è in tal senso emblematica, con quelle pupille che diventano prima rosse per il sangue che gli era affluito poi bianche, «fredde, gelide»[7]. Caino, con coscienza, riconosce di aver compiuto per primo l’azione del male, tramutando in atto ciò che era in potenza, ma nel confronto con Dio che ha a seguito alla morte del fratellastro pone un quesito che vedrà gli uomini arrovellarsi per secoli: la relazione che lega atto e potenza.

«Avere pensato di uccidermi non è la stessa cosa che avermi ucciso?»[8]. La posizione di Dio è netta a riguardo: «No, non è la stessa cosa. Lui (Abele, ndr) ha operato una scelta. Voleva ucciderti, poi ha scelto di lasciarti in vita. Avresti potuto fare lo stesso, ma tu hai fatto un’altra scelta»[9]. Eppure un piccolo tarlo sulla questione resta. Anzi due.

Se non altro perché poche pagine prima, per definire l’inquietudine che assalì Dio dopo aver creato l’universo, Caino ne tira in ballo il «lato borghese», spiegando che Egli «ci rispecchia in tutto. Rispecchia i nostri difetti, le nostre virtù, i nostri vizi, le nostre bontà»[10].  È lecito, senza passare per blasfemi, porsi il dubbio che rispecchiandoci in tutto Dio possa rispecchiarci anche nello sguardo assassino di Abele?

A differenza – e questo è il secondo tarlo – di Abele, che era «tristo e carnefice d’animali», Caino «ragionandosi di quei che ammazzavano li animali, mostrava d’haverli compassione e diceva che faceano male»[11]. La voce chiamata in causa dallo stesso Caino è quella di Giordano Bruno che, in sostanza, ne giustifica l’atto: Abele uccideva gli animali, creature di Dio alla stregua dell’uomo. Se teniamo conto poi di ciò che, poche pagine più avanti, Caino ricorda – la voce del Signore non aveva ancora proclamato il comandamento “Non uccidere” – delle due l’una: o entrambi i fratellastri sono innocenti o sono ambedue colpevoli.

Sono tante altre però le questioni messe sul tavolo dal Maestro, che sembra cogliere al balzo il complesso macro-tema per pungolare qua e là i lettori alla riflessione.

Nel momento in cui creò la donna, spiega Caino, Dio non fece altro che separare – quella prima volta in modo netto, poi in modo meno drastico – il lato femminile di Adamo da quello maschile: «Non so perché ancora oggi ci si ‘amminchi’ nel pensarla come a una malattia, uno sbaglio e invece, credetemi, è la cosa più normale nella storia della Terra»[12]. Magistralmente, utilizzando poche parole, colorate dall’immancabile tocco di sicilianitudine, Camilleri nei panni di Caino sviscera un problema che ancora oggi trova scarsa tolleranza da parte di tanti, troppi. E che è strettamente collegato a un altro concetto: l’accoglienza, «imperativo categorico, assoluto»[13] posto come seconda legge nelle città che Caino, alla fine del suo lungo errare, si era ripromesso di costruire e che avrebbero aperto le porte a coloro che lo avrebbero chiesto: donne, uomini, anziani, bambini. Tutti, senza alcuna distinzione. 

Perché – e in questo caso è il Maestro a chiedere un supporto esterno prendendo in prestito le parole di Elie Wiesel, insignito del premio Nobel per la pace nel 1986 – «di fronte alla sofferenza, di fronte alla solitudine, nessuno ha il diritto di nascondersi, di non vedere. Di fronte all’ingiustizia, nessuno deve voltarsi dall’altra parte. Chi soffre ha precedenza su tutto»[14].

Questo è – a modestissimo parere di chi scrive – il messaggio ultimo che Camilleri ci ha voluto lasciare: offrire all’altro quel pezzetto di giornale o quel bottone che i bambini, caracollando, regalano alle loro madri[15].


[1] A. Camilleri, Autodifesa di Caino, a cura di A. Mortelliti, Sellerio, Palermo 2019, p. 79.

[2] Cfr. ivi, p. 9.

[3] Ivi, p. 79.

[4] Ivi, p. 13.

[5] Ivi, p. 14.

[6] Ivi, p. 41.

[7] Ibidem.

[8] Ivi, p. 59.

[9] Ibidem.

[10] Ivi, p. 17.

[11] Ivi, p. 62.

[12] Ivi, p. 24.

[13] Ivi, p. 70.

[14] Ivi, p. 38.

[15] Cfr. ivi, p. 32.

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