Navigando tra tabù: maschilità, sodomia e Inquisizione nella conquista dell’America

 

di Roberto Spanò

1. Introduzione

Lo sbarco di Colombo nelle Americhe nel 1492 segnò l’inizio di una nuova epoca di conquiste ed espansione militare per le principali potenze europee, che spinte dalla ricerca di oro e spezie finirono per assoggettare al proprio potere un intero continente. Nelle missioni di esplorazione e conquista del Nuovo Mondo gli europei dovettero fare i conti con la diversità: quella ambientale, climatica, alimentare e soprattutto sociale; una delle preoccupazioni principali fu proprio il rapporto con la popolazione locale e la diversità fu un elemento strutturale all’opera di conquista. Al di là della narrazione “classica” del fatto coloniale, secondo la quale la superiorità militare degli europei sarebbe bastata per la sottomissione di Messico, Perù e Brasile, esistono altre chiavi di lettura, che possono contribuire a realizzare un quadro sempre più articolato della vicenda e che nascono dall’incrocio di diversi stimoli, provenienti dagli studi di genere, dall’antropologia e dalla storia religiosa.

La prima questione riguarda il ruolo che ebbero i valori europei nell’opera di conquista, come entrarono in contrasto con quelli degli indios e come vennero incarnati da conquistatori e missionari; la seconda riguarda la maniera in cui gli europei decisero di trattare gli indios, come interagirono con loro e come si rapportarono alle differenze fisiche e culturali. Pur trovandoci nella contraddizione di poter analizzare la vicenda quasi esclusivamente tramite la documentazione europea, è possibile andare oltre il superfluo e analizzare le varie relazioni di potere che si instaurarono nei territori che verranno presi in considerazione in questa sede. Il mio lavoro è mosso da una serie di domande che hanno lo scopo di dare una lettura diversa dell’impresa coloniale, per svelare il ruolo giocato dalla maschilità, dalla sessualità e dalla presunta dissolutezza degli indios. Come erano organizzate le società precolombiane? Quali riti religiosi praticavano? Quali specificità funsero da matrici di oppressione per giustificare l’opera di conquista?  Come, gli indios, avevano sviluppato le proprie norme e i propri stereotipi di genere? Quali norme regolavano le unioni familiari?

L’opera di conquista dell’America fu anche, e soprattutto, un affare spirituale, per questo motivo gran parte del mio lavoro è costituito dall’analisi della documentazione missionaria, in particolare quella della Compagnia di Gesù raccolta nei Monumenta Historica Societatis Iesu, una serie di volumi contenenti raccolte di resoconti e lettere che periodicamente venivano inviati dalle colonie a Madrid, Lisbona e Roma. Questi resoconti restituiscono delle interessanti informazioni riguardo la sodomia, la sessualità, le conversioni degli indios, ma anche informazioni di carattere etnografico e antropologico; sono presenti anche notizie sul proliferare dei peccati della carne tra coloni, che lontani dalla madre patria potevano contrarre seconde nozze e abusare liberamente di tutte le donne e degli schiavi che desiderassero. Un’altra fonte fondamentale sono le carte prodotte dall’Inquisizione, che si instaurò nelle varie colonie in tempi e modi diversi; da queste carte saltano fuori dati molto interessanti che restituiscono lo scenario di una popolazione ben disposta ad assecondare i discorsi degli inquisitori, presentando denunce molto spesso per sentito dire e utilizzando il potere della Chiesa come strumento per redimere conflitti personali. Ma cosa c’entrano il sesso, la sessualità e il genere con l’opera di conquista del Nuovo Mondo?

2. Sesso e genere: natura e cultura

Nel trattare il sesso e il genere dal punto di vista storico è importante tenere a mente che le idee, le norme, le leggi che sono state elaborate nel corso del tempo molto spesso risultano asettiche rispetto alle esperienze vissute; ciò avviene perché tali idee rappresentano solo la maniera in cui alcuni attori sociali (per esempio filosofi, scienziati, giuristi) hanno concettualizzato il mondo circostante. Le fonti storiche inerenti alle norme di genere sono, molto spesso, particolarmente facili da interpretare, dal momento che gli autori si limitavano a enunciazioni come «“le donne sono…”», «“i padri sono…”», «“il matrimonio è…”». Si potrebbe anche pensare che questi autori si limitassero a descrivere uno stato di cose oggettivo piuttosto che idealizzato, a maggior ragione quando alcune idee vennero considerate come verità teologica e/o scientifica. Spesso le culture “altre” hanno lasciato affascinanti testimonianze riguardo varie questioni di genere e sessualità, ma nella maggior parte dei casi si tratta di opere di fantasia, messe per iscritto solo dopo un lungo periodo di trasmissione orale. Le idee su uomini e donne, in qualsiasi cultura, non vengono trasmesse solo tramite opere direttamente incentrate su questioni che regolano i rapporti tra generi (come, per esempio, le leggi sul matrimonio) o su descrizioni fittizie di personaggi stereotipati, ma questi argomenti riemergono in tutto ciò che è prodotto da quella determinata cultura[1]. Dall’analisi dei documenti è possibile affermare che i maschi non costruiscono la propria identità solo in relazione al loro diretto opposto, ossia la donna, ma anche e soprattutto in relazione all’altro maschio; sebbene solo di recente gli studi sugli uomini siano stati etichettati come studi sulla “maschilità”, il fatto che l’esperienza maschile sia stata normativa ha distorto il modo in cui le donne sono state viste: ciò si può perfettamente notare in opere mediche e scientifiche della tradizione occidentale. Per Aristotele le donne non contribuivano alla forma, all’intelletto e allo spirito del feto, dal momento che non producevano lo sperma o qualcosa di lontanamente simile; gli aristotelici erano soliti leggere l’anatomia e la fisiologia umana su un’unica scala, descrivendo le donne come maschi imperfetti o mal generati, la cui mancanza di calore corporeo fece in modo che gli organi sessuali rimanessero verso l’interno, invece che essere spinti fuori come avveniva nel maschio perfetto.

Secondo Galeno anche le donne producevano un seme, ma più freddo e meno “attivo” di quello maschile[2]. In alcune parti del mondo, come presso diversi gruppi di indios nordamericani, è stata posta una particolare enfasi sulla complementarità dei sessi, che ha portato a disposizioni economiche e sociali abbastanza egualitarie; in alcuni momenti della storia maya precolombiana, le idee sulla complementarità di genere sembrano aver portato all’ereditarietà di posizioni di potere e a privilegi bilaterali[3]. Nel contesto europeo le donne bianche erano viste come le più propense a incorporare le qualità considerate positive (come la pietà e la purezza), mentre tutte le altre erano dotate di tratti negativi, come la disobbedienza o la sensualità provocatrice. Allo stesso modo, gli uomini bianchi consideravano loro stessi come più razionali e tutti gli altri incorporavano le qualità negative: tutto ciò fu funzionale a creare una gerarchia totalmente arbitraria in cui gli europei si posero in cima alla piramide e tutto il resto (donne e uomini non bianchi) stava sotto. Nel corso del tempo, le idee sulle differenze di genere si intrecciarono con quelle razziali e andarono di pari passo con lo sviluppo degli imperi coloniali[4].

3. Nascere maschi, diventare uomini

A un certo punto della storia, l’ideale della maschilità fu invocato in ogni angolo d’Europa come simbolo di rigenerazione personale e nazionale, come elemento strutturale nella definizione che diede di sé la società moderna; in tutto l’Occidente l’esortazione a «essere uomo» divenne un luogo comune: l’idea moderna della maschilità propugnava una visione ben definita della natura e dell’azione umana, capace di servire le cause più diverse. Come teoria della natura umana era abbastanza concreta e precisa nel costruire un sistema coerente e nel corso del tempo l’ideale si modificò molto poco, proclamando sempre le stesse caratteristiche virili, come la forza di volontà, la virtù e il coraggio[5]. La virilità venne considerata fin dall’inizio come un tutto unico: corpo e anima, apparenza e virtù, dovevano costituire un insieme armonico; la mascolinità moderna era fondamentalmente uno stereotipo e di conseguenza agiva oggettivizzando la natura, facilitando la comprensione immediata e il giudizio sommario. George Mosse, in The Image of Man, sostiene che gli stereotipi moderni non esistevano nelle epoche precedenti, anche se il concetto di onore maschile ha sempre ricoperto una certa importanza; secondo l’autore l’ascesa di questo ideale è collocabile tra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento[6]. Lo stereotipo maschile, prosegue Mosse, è possibile non semplicemente grazie al suo immediato opposto, ossia il femminile, ma grazie soprattutto alla presenza del suo omonimo negativo: i maschi che non erano all’altezza dell’ideale, tutti coloro che nel corpo e nell’anima proponevano l’esatto opposto del modello egemonico.

Un altro contributo fondamentale fu quello di Pierre Bourdieu, sociologo francese, che nel 1998 pubblica La domination masculine: l’autore è interessato alla fenomenologia del rapporto tra dato biologico e simbolica dei sessi, tra corpo e società; sostiene che le differenze visibili tra il corpo femminile e quello maschile, in virtù del fatto di essere percepite e costruite secondo gli schemi pratici della visione androcentrica, divengono garante di significazioni e valori che sono in accordo con i principi di essa: non è dunque il fallo a costituire il fondamento di questa visione del mondo, ma è tale visione organizzata per generi relazionali, maschile e femminile, che istituisce il fallo come simbolo della virilità[7]. L’analisi della documentazione storica, fatta di opere letterarie, bolle papali, lettere di missionari, testi sacri, denunce e testimonianze, rende chiaro il fatto che la maschilità è un genere relazionale, in quanto la sua costruzione è definita in relazione a un “altro”, nella differenziazione tra il maschio e l’uomo. Maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa. Si diventa conformandosi a tutta una serie di aspettative sociali, che investono il tuo modo di vestire, di comportarti e il senso che dai al mondo circostante. Un ruolo considerevole, nell’ascesa di questo ideale, lo ebbe la riscoperta dei canoni estetici dell’arte classica, quei canoni che celebrano «un corpo perfettamente dotato, formato, rigorosamente delimitato, chiuso, mostrato dall’esterno, omogeneo ed espressivo della sua individualità»[8].

Successivamente prenderà vita la contrapposizione tra “gentiluomini” e “popolani”, tra uomini ricchi e poveri, ma il confine che separa la virilità “autentica” da quella mancata può correre anche lungo la linea generazionale: nella stessa classe sociale, per esempio nella nobiltà, i veri uomini sono gli adulti, in relazione ai giovani che sono ancora incompleti; oppure questa linea può tagliare verticalmente questa stessa classe, separando e contrapponendo la virilità dei guerrieri a quella dei chierici o dei cortigiani. Il tratto più comunemente riscontrabile, in questa eterna lotta, è la rivendicazione orgogliosa del proprio modello di virilità come unico e appropriato: gli altri uomini sono dei bruti, o degli effeminati, più simili a donne che agli altri uomini[9]. Molto tempo prima di Bourdieu uno dei contributi più importanti alla storia del genere e della sessualità fu l’opera di Michael Foucault, che nel 1976 pubblicò il primo volume della sua Histoire de la sexualité dal titolo La Volonté de Savoir, un’opera che, nelle parole dell’autore, «apre una serie di studi che non pretendono essere continui, né esaustivi»[10]. Fu una delle opere che più di tutte funsero da stimolo per la ricerca, non solo storiografica, su sesso e sessualità; ciò avvenne perché Foucault cercò di analizzare questioni molto complesse: ossia capire in che modo i comportamenti sessuali siano diventati oggetto di sapere; capire la maniera in cui si è organizzato il campo di conoscenze intorno alla sessualità e in che modo la produzione di discorsi, a cui si è attribuito un valore di verità, è legata a meccanismi di potere[11]. Ma facciamo un passo indietro, torniamo all’opera di conquista.

4. Il peccato diventa reato

Nella penisola iberica l’opera di socializzazione del genere (ossia il processo tramite il quale ogni individuo consolida e definisce la sua identità di genere) fu interamente strutturale all’ascesa dell’impero e della Chiesa; l’attenzione verso le regole e i comportamenti sessuali fu probabilmente più dura che in altre monarchie europee. Tutti i teologi erano d’accordo sul fatto che il rapporto sessuale non riproduttivo, in cui il seme maschile veniva sprecato, andava contro l’ordine della creazione divina, violava le regole della natura, rendeva impuri. L’accusa di sodomia si rivelò essere anche uno strumento potentissimo per la persecuzione politica di tutti coloro che fossero stati ritenuti capaci di contagiare una cristianità che, a partire dalla Reconquista, si edificherà giorno per giorno, attraverso le nuove conquiste, i numerosi e maestosi (e anche fortemente macabri) autodafè e le grandi processioni del Corpus Domini[12].

Fu nella penisola iberica che i tribunali di fede delegati furono autorizzati ad agire in materia di sodomia, in quanto ciò minava la fede, l’ortodossia e l’unità della Chiesa e dell’impero[13]. Con una prammatica del 22 agosto 1497, i Re Cattolici stabilirono la pena del fuoco purificatore per i sodomiti; nel 1505 re Ferdinando autorizzò l’Inquisizione aragonese ad agire contro la sodomia. Il 24 febbraio 1524 papa Clemente VII autorizzò gli inquisitori aragonesi ad agire contro vizio nefando e bestialità, legittimando quindi l’assimilazione tra eresia e sodomia[14]. In Castiglia le pene capitali per sodomia furono sempre inflitte dai tribunali secolari, a differenza di Aragona e Portogallo, dove l’assimilazione tra eresia e sodomia fece in modo che a comminare le pene fossero i tribunali dell’Inquisizione[15]. Altri passaggi fondamentali furono l’autorizzazione di Clemente VII agli inquisitori di Barcellona, Valencia e Zaragoza a estirpare il vizio nefando e la bestialità e lo scioglimento di Carlo V dal giuramento di non forzare i mori alla conversione[16].

Le cose non andarono molto diversamente nel vicino Portogallo. Nel 1553 Giovanni III autorizzò l’Inquisizione lusitana ad agire contro la sodomia, privilegio che venne ribadito due anni dopo grazie a una dottrina che classificò la sodomia tra i crimina mixti fori. L’Inquisitore portoghese Dom Enrique fu autorizzato da Pio V, il 20 febbraio 1562, a perseguire questo crimine. A un certo punto, però, crebbe la paura che la sodomia potesse diffondersi in ogni luogo sotto il dominio della Chiesa, soprattutto nelle colonie, anche se sappiamo che i primi regolamenti nacquero per controllare la vita interna del clero e degli ordini militari. Bisogna però precisare, a onore del vero, che nei processi per eresia la pena capitale era destinata solo ai relapsi e l’adozione di una procedura mista, per di più identica a quella aragonese, è indicativa di quanto in realtà il crimine/peccato di sodomia avesse una natura indefinita. I sovrani erano d’accordo sul fatto che per contrastare la sodomia occorresse avere un rapido ed efficace apparato di polizia, e questo si ebbe maggiormente dopo l’assimilazione tra sodomia ed eresia nei regolamenti dell’Inquisizione portoghese nel 1613 e nel 1640; anche se qui il fuoco purificatore venne riservato a chi avesse dato scandalo e/o fosse stato relapso[17]. In tutto ciò, le bolle di Pio IV e Gregorio XIII non prevedevano mitigazioni delle pene, dal momento che facevano riferimento alle leggi civili e la pena capitale era il giusto castigo per chiunque, chierico o laico. La prassi inquisitoria riconosceva l’impunità a chi si autodenunciava, se non era già arrivata una denuncia; nella maggior parte dei casi si ricorreva a fustigazione, bando (maggiormente in Angola e Brasile), detenzione e servizio nelle galere. In trecento anni di attività l’Inquisizione portoghese denunciò più di quattromila sodomiti in Portogallo, Brasile, Africa e India, circa 550 furono gli arresti e i processi effettivi, 30 le condanne al rogo. Dalle fonti pare che Lisbona fosse la sede di una delle più vivaci “comunità” di sodomiti dell’Europa del tempo e tra i sodomiti di pubblica fama non mancavano i religiosi. Gli uomini dell’epoca si chiesero anche da dove avesse origine la sodomia: la maggior parte riteneva che avesse un’origine biologica, per esempio nello squilibrio dei quattro umori, in una pratica del vizio in tenera età, in un influsso maligno al momento della nascita oppure in una naturale indole radicata nel colpevole.

Si riteneva poi che in alcuni luoghi, ossia Asia, Nuovo Mondo e Africa, esistesse una predisposizione naturale al vizio. Quest’idea fu alla base della creazione di una retorica colonialista che legittimò la sottomissione di quelle comunità extraeuropee, grazie a una rappresentazione identitaria capace di articolare e legittimare, tramite presupposti “naturali e ontologici”, le conseguenti relazioni di dominazione[18]. Abbiamo detto che una delle giuste cause per l’opera di evangelizzazione e conquista delle colonie era la conversione dei gentili, l’estirpazione dell’idolatria, della sodomia e di tutti i comportamenti contrari alla natura e al volere di Dio: è qui che entrano in gioco missionari e conquistatori, nello specifico cercherò di mostrare cosa vi è alla base della costruzione ideologica della figura del secondo.

Dietro la presunta esistenza di una maschilità “naturale” si cela una lotta continua tra un modello dominante e forme diverse di maschilità. Questo permette di parlare di maschilità egemonica, ossia di un modello che presume di giustificare la posizione dominante di alcuni individui su tutti gli altri. Nel contesto spagnolo, in epoca moderna, gli attributi del “vero uomo” e poi dell’“uomo nuovo” si diffusero rapidamente tra i vari strati della società e furono oggetto di una vera e propria opera di propaganda, finalizzata alla “creazione” di uomini capaci di difendere l’impero e la fede. L’opera di conquista delle Americhe fu totalmente funzionale a questo scopo, dal momento che la sodomia, percepita come caratteristica “naturale” degli indios, funse da giusta causa per la conquista politica, militare e religiosa. Ma cosa significò, per i conquistatori, adattarsi a questo modello di maschilità?

Innanzitutto, significò essere feroci e dediti alla guerra, virili e dotati di potenza sessuale, ma allo stesso tempo essere intrisi di morale cristiana; questo modello, tuttavia, non introduce delle grosse novità, poiché proviene dal mondo aristocratico e si diffuse largamente a seguito della grande migrazione di uomini verso il sud della penisola, in conseguenza della mobilitazione degli eserciti della Reconquista. Il modello era quello del “perfecto hidalgo”, in cui la virilità è intesa come un’attitudine naturale all’esercizio della violenza, come il prendersi responsabilità per il conseguimento di onore e gloria nella sfera pubblica, anche sfidando il pericolo con comportamenti temerari[19]. Nell’opera di conquista del Nuovo Mondo la lotta portata avanti dagli europei fu su due fronti: contro il nemico esterno ma soprattutto contro sé stessi, per (ri)affermare di continuo il valore della propria maschilità: era di vitale importanza dimostrare che i risultati ottenuti fossero dipesi esclusivamente dagli sforzi sul campo di battaglia; quando tutto ciò era accompagnato dalla rivendicazione delle proprie umili origini allora si poteva sperare di ottenere maggiori ricompense e privilegi[20]. Le vittorie conseguite sui campi di battaglia rafforzarono in loro la convinzione che la destrezza militare, l’abilità fisica e il coraggio, fossero degli attributi naturali e ontologici dell’uomo spagnolo: le prime rappresentazioni degli indios tesero dunque a femminilizzare il nemico rimarcando la superiorità della maschilità peninsulare europea.

Un giorno Colombo scrisse sul suo diario che, mentre si trovava sulla caravella, prese come prigioniera una «bellissima donna caraibica» che gli era stata donata dall’ammiraglio, e dopo averla condotta nella cabina, poiché «era nuda come sua abitudine», ebbe il desiderio di «divertirsi con lei»[21]. Colombo non rappresenta un’eccezione, dal momento che la nudità degli indios venne percepita dagli europei come una predilezione naturale ai disturbi carnali, al cannibalismo, all’ubriachezza, all’incesto, alla poligamia e alla sodomia. La figura del conquistatore venne eretta soprattutto grazie alla rappresentazione del cristianesimo come religione universale: il maschio spagnolo aveva liberato la Terra santa e la penisola iberica dai seguaci di Maometto, i nuovi pagani da convertire (o punire) si trovavano ora nelle colonie. Secondo alcuni autori dell’epoca, nei momenti di difficoltà bastava ricordarsi di essere uno strumento di Dio per permettere al cristianesimo di diffondersi; tra questi Francisco de Gómara, sessant’anni dopo lo sbarco nel Nuovo Mondo, scrisse che «mai nessun re o popolo aveva mai viaggiato e sottomesso così tanta gente come fecero gli spagnoli, nessun re o popolo ha meritato quello che meritano loro, perché sono i più degni di lode in ogni parte del mondo»[22].

Secondo Francisco de Xerez anche quando i cristiani erano in numero minore, il soccorso di Dio fu sempre sufficiente per convertire i nemici alla fede cattolica[23]. Ma, tra le fonti, non mancano le narrazioni in cui si evidenziano paura, ansia, debolezza e fragilità umana, come nel caso della «noche triste» del 1° luglio 1520. In vista di un assedio degli indios le truppe di Cortés scapparono a gambe levate da Città del Messico, un elevato numero di spagnoli morì nel tentativo di superare uno dei ponti che collegavano la città ma «era una grande pena vederli e sentirli, per le grida e i pianti e la compassione [e] chiedevano aiuto»[24]. Tra le opere di riferimento per la “creazione” dell’uomo nuovo spagnolo una delle più celebri è El Caballero Perfecto, di Alonso Jerónimo de Salas Barbadillo, pubblicato il 30 agosto 1619. Il Consiglio di Castiglia autorizzò volentieri la pubblicazione di quest’opera in cui l’autore, tramite la storia di un certo don Alonso, descrive le caratteristiche fisiche, morali e comportamentali che devono essere strutturali del perfecto hidalgo. Nel decreto di approvazione del testo si legge che non sono presenti idee che possano offendere la religione cristiana e i buoni costumi, ma anzi l’opera è ritenuta contenere un insegnamento di altissimo valore morale e religioso, al punto da essere considerata il testo migliore dell’epoca per il suo valore educativo[25].

È qui che, a un certo punto della mia ricerca, entrano in gioco altri quesiti. Cosa significò essere un sodomita indigeno o spagnolo? Quanto la «civilizzazione» riuscì a penetrare nelle società locali? Come si adatto l’autorità ecclesiastica alle nuove circostanze? Interrogativi che per il momento lascio aperti in vista di una futura trattazione in altra sede.


[1] Merry E. Weisner-Hanks, Gender in History. Global Perspective, Wiley-Blackwell, UK 2011, pp. 84-85.

[2] Ivi, pp. 87-88.

[3] Ibidem.

[4] Ivi, p. 90.

[5] G.L. Mosse, L’immagine dell’uomo. Lo stereotipo maschile nell’epoca moderna (The Image of Man, 1996), trad. di E. Basaglia, Einaudi, Torino, 1997, p. 3.

[6] Ivi, p.14.

[7] P. Bourdieu, Il dominio maschile (La domination masculine, 1998), trad. di A. Serra, Édition du Seuil, Parigi 1998, pp. 32-33.

[8] R. Ago, La costruzione dell’identità maschile: una competizione tra uomini, in La costruzione dell’identità maschile nell’Età Moderna e contemporanea, Biblink, Roma 2001, p.17.

[9] Ivi, p.18.

[10] M. Foucault, La Volontà di sapere. Storia della sessualità 1 (La Volonté de Savoir, 1976), trad. di P. Pasquino, G. Procacci, Feltrinelli, Milano 2020, p. 7. 

[11] Ivi, pp. 48-49.

[12] V. Lavenia, Tra eresia e crimine contro natura: sessualità, islamofobia e inquisizioni nell’Europa moderna, in Le Trasgressioni della carne. Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX, a cura di Umberto Grassi, Viella, Roma, 2015, p.103-130, p.103.

[13] Id., Un’eresia indicibile. Inquisizione e crimini contro natura in età moderna, EDB, Bologna, 2015, p. 16.

[14] Ivi, p. 20.

[15] Id., Convertire e Punire? Ancora su teologia, Inquisizione e sodomia nella prima età moderna, in F. Alfieri, V. Lagioia (a cura di), Infami macchie, sessualità maschili e indisciplina in età moderna, Viella, Roma, 2018, p. 24.

[16] Ivi, pp. 35-36.

[17] U. Grassi, Sodoma. Persecuzioni, affetti, pratiche sociali (secoli V-XVIII), Carocci, Roma, 2020, p. 41.

[18] V. Lavenia, Convertire e punire, p. 47.

[19] Pierre Bourdieu, cit., p. 62.

[20] Fernanda Molina, Crónicas de la hombría. La costrucción de la masculinidad en la conquista de América, in

«Lemir», 15, 2011, pp.185-206, p. 190.

[21] Ivi, p. 191.

[22] Ivi, p. 197.

[23] Ivi, p. 198.

[24] Ivi, p. 202.

[25] Alonso Jerónimo de Salas Barbadillo, El Caballero Perfecto, E. S. Figaredo (a cura di), in «Lemir»,17, 2013, pp. 756-840, p. 768.

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