Del furor de viajar, della nascita de Il Pequod (o Il Peugeot) e delle in-finite avventure che vi narrerò quando avrò gana

di Giuseppe Coniglione

Nel dicembre dell’anno del Signore 2016, giunto che ero all’etade d’anni 27, compresi in maniera non ancora del tutto rilevante, ma tutto sommato accettabile, che non uscivo dalla per me sacra e venerabile terra del Triskelion da quasi una decade e mi vennero le cosiddette ganas viciosas de la gente picaresca (leggi “voglie viziose della gente picaresca” o quello che ti dice la testa poiché in realtà non m’importa così tanto) di voler a poco a poco descubrir el mundo. Quindi pensai bene di fare un sondaggio sociologico a premi tramite annunci verbali per ricercare compagni di viaggio, e fu così che ingaggiai un furbo affabulatore de la ciudad de Xhiquili (leggi comunemente “Scìchili”), appartenente ad una nobile e vetusta dinastia di fabbricatori di spade da sempre devota alla Madonna delle Milizie, e si decise quindi che si sarebbe andati a discoprire la balocchesca isola di Melita – dai più conosciuta umanamente come Repubblika ta’ Malta o più luogocomunemente Republic of Malta – per vivere senza pensieri The Malta Experience (proprio perché così ci piacque) e per salutare il nuovo anno dagli Upper Barakka Gardens (per noi semplicemente una villetta che ci capitò sotto mano dopo un’abbuffata leggendaria dai napoletani lì vicino) nella città che fu fondata dal famoso Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni (sempre sia lodato!) Jean de La Vallette, tra luminosi fuochi d’artifizio e sirene di traghetti e yacht di ricchi nababbi parati a festa che sembravano voler invitare a battaglia una batteria di cannoni al nostro fianco che tuttavia per quell’occasione evitammo d’adoperare.

A quell’epoca ancora mi chiamavo col mio vero nome, ovvero André Mourmour, ed ero un pensatore da camere oscure e visioni goticheggianti, perché l’oscurità aveva preso il sopravvento e illo tempore quando mala tempora currunt era persino piacevole: mi sendero no estaba luminoso ya. Tutto era un po’ più francese del solito nelle mie percezioni, forse perché in gioventù mi ero immerso troppo nei romanzi di Gustave Flaubert, Guy de Maupassant, Honoré de Balzac ed Émile Zola (così per buttarne giù quattro a caso), o forse le ragioni erano più semplicemente altere, altezzose, altalenanti e più alticce del comune pensamento della umana progenie, o forse semplicemente perché una discreta ma non preponderante quantitade di sangue normanno scorre nelle mie vene ed ogni tanto (a piacer del rigor del fato) prende il potere dentro di me.

Comunque sia, calpestare il magico suolo (o più comunemente rina) dell’isola di Melita avviò in me un processo potente di cambiamento o rivelazione, similmente a come cambiò l’Europa y el mundo l’approdo sulla stessa isola di quel San Paolo apostolo (da cui prese il nome addirittura una baia in quei luoghi, mentovata dai locali “San Pawl il-Baħar”) portatore di un purissimo e potentissimo messaggio di pace ed amore per il mondo, che fu poi tuttavia travisato e strumentalizzato da uomini avidi di potere non divino (né di vino) ma terreno. (Ma queste sono oltremodo divagazioni che al momento non approfondiremo per non interferire con i poteri temporali del mondo, nonostante se ne possa cogliere soavemente un intendimento contrario da parte mia, sempre e in ogni caso in maniera non preponderante).

Ebbene, da lì in poi intesi che volevo vedere il mondo come non l’avevo mai visto prima, la necessitade di cambiamento era palese e mi misi ntâ mirudda degli obiettivi che, con ostinazione muleggiante e spumeggiante, e con i sentimenti più genuini delle più umili e svolazzanti falene estive (ma tuttavia con una buona dose di ruvido amor del cinismo machiavellico), portai avanti con tutte le mie forze, e ancora oggi la strada, ahimè, non è del tutto conclusa, sebbene i lavori siano già stati appaltati e in corso da tempo.

Dopo che giunto fui a benevolo punto del mio sendero ahora bastante luminoso e spumeggiante di bollicine del Prosecco Superiore del Valdobbiadene, dove tutti mi chiamano Bepi e non Peppi o Pippu, e dopo una stagione di nebbia della Bassa Padana che mi è entrata nelle ossa e una prolungata degustazione esagerata di piadine romagnole, tortelloni e tortellini (che suggerisco di non confondere quando varchi continuamente il confine innaturale tra Emilia e Romagna), ora sì posso iniziare a tirare un po’ le somme ed a voler optare di servire nella vostra tavola una minima parte di assaggio di come fu che mi convinsero a condividere alcune delle mie res gestae, che di norma gelosamente ed avidamente conservo in maniera sospettosa e quasi pastorale e che sfodero solamente, esclusivamente e circospettamente nelle serate di Luna Piena per intrattenere pochi eletti tra i miei fidati e raffinati discepoli del grottesco.

Adunque, come sopra detto ma come piacevolmente ripeterò per il gusto di stancarvi, venne il giorno in cui i miei fidati, raffinati, coscienziosi, edulcorati e volendo persino edibili (de gustibus non disputandum est) ADEPTI (con cui mi diletterò a polemizzare subdolamente nel corso della hermosa existencia di questa, menzioniamola al momento, “rivista”) mi mandarono un link (in sic. liami) con un nome strano che non compresi istantaneamente (poiché come al solito non bisogna mai delegare sulle scelte importanti!) e che lessi di primo acchito Il Peugeot, e subito in me si aprirono in molteplice come delle ispecie di flashbacks (che in questa sede suggerisco di pronunciare bene e forte con il finale suono ‘ks’ come farebbero gli abitanti dell’isola di Albione) su una miriade di ricordi della mia 106 dell’età arcaica compagna di mille avventure, su cui non sarebbe d’uopo dilungarsi tuttavia (sin embargo) più di tanto. Poi lessi bene e comunque non compresi lo stesso, né giammai mi abbasserò a chiedere od effettuar indagini e ricercanze sulle significanze ulteriori, interiori e promiscue della palabraIl Pequod’, porqué soy muy orgulloso (también demasiado) e soddisfazioni non gliene voglio dare a nessuno: queste cose noi siciliani non le concediamo. Comunque, sia chiaro, accettai, così senza pensarci troppo, solo perché non avevo niente di meglio da fare e questa fu la loro buona fortuna. Oltremodo, mi si offriva la fluttuante opportunitade di parlare del grottesco e del surrealismo primordiale a man bassa, cosa che mi è sempre parsa stuzzichevole y en el mismo momento attraente, di quello stesso concetto di Attraenza (o Attrattività, anche se forse la Crusca non sarebbe molto d’accordo nelle sue vesti di Tribunale della Parola) che imparano a conoscer bene gli insetti prima di essere ingiustamente fulminati da una zanzariera ammaliante ed incandescente nelle serate d’agosto, similmente a come venivano ingannati gli ignavi marinai dal canto di quelle sirene che quello strèvuso (sicilianamente inteso) d’Odisseo volle attintare (di nuovo sicilianamente inteso) dopo essersi fatto attaccare (ulteriormente sicilianamente inteso) all’albero della nave. 

Ergo spiegata, senza darvi occasione di comprenderla pienamente, la mia adesione al Pequod (per me da intendersi come ho detto prima): Ulisse sarà stato un pochino stolto, probabilmente un tantino vizioso ma non era sicuramente un fesso e pure tra gli insetti c’è chi differentemente dalle falene resiste al canto luminoso della zanzariera elettrica. Ma bando alle ciance ed alle ciancianedde: adesso vi spiegherò perché ho scelto l’attuale pseudonimo, ovvero Giuseppe Coniglione e perché ho deciso al momento di oscurare il mio vero nome, ovvero André Mourmour

Mi piace il nome Giuseppe, innanzitutto, perché è il nome di quello che comunemente nel paese delle mie origini (di cui al momento mi è proibito mentovare il nome) è il Patriarca (e non il Petrarca, sia chiaro!), non semplicemente il Patriarca di Costantinopoli che comunque io ho sempre ammirato e stimato come una persona corretta, ma proprio il Patriarca per antonomasia, non tuttavia altrettanto stimato per il suo lavoro di artigiano del legno come sarebbe corretto tra gente corretta, perché era quello oltreché un santo. E poi Coniglione perché ho sempre amato sia i conigli (soprattutto quelli bianchi e candidi come quello un po’ border-line di Lewis Carroll in Alice in Wonderland) sia la Città di Corleone (che appunto in siciliano si chiama Cunigghiuni, dall’arabo “Kurulliùn”, letteralmente e splendidamente “il luogo che ci rende felici solo a guardarlo”), che purtroppo in italiano è stato malamente storpiato dalle antiche, regie e mistificanti anagrafi del fu Regno d’Italia in Coniglione, talché si è perso il ricordo del significato originario. Poi mi piace come suona Giuseppe Coniglione: suona proprio isolano e siciliano, terra che ho sempre amato anche se sono oriundo di quella terra della Normandia, in cui la dinastia dei Mourmour è stata sempre una schiatta potente, temuta e rispettata, anche se male voci di plebaglia dicono che erano amanti di ascoltare i “mormorii” altrui per tramutarli in propri e per costruirci castelli o per demolire quelli altrui. Ma lasciamo stare queste dicerie, visto che forse non le coglierebbe alcun untore, e concentriamoci sul nome Giuseppe Coniglione che in effetti è civilmente nettamente migliore come scelta: son sicuro che converrete con me.

Andiamo all’ultimo nodo da sciogliere, o da aggrovigliare ancor di più se preferite, ovvero alla Wunderkammer (“La camera delle meraviglie”) che non è nient’altro che la famosa camera che mostrano in una popolare réclame televisiva di un noto marchio di affitta-camere, dove si vedono sempre camere e appartamenti in locazione (non si dica ‘affitto’ perché il nozionismo giurisprudenziale ci fulminerebbe all’istante!), sempre bellissimi, sempre accoglienti e luminosi. Bene, sia inteso che quelle che invece capitano a me risultano molto più frequentemente delle bettole del malaffare e dai profumi non sempre chiari (ma a volte, tuttavia, curiosi) e dalle architetture ed ubicazioni più varie e clamorose e che sovente possono suscitare alienazione nell’uomo e voglia di tornare da dove si è venuti. Ma, appunto, da queste Wunderkammern, dove son capitato in giro per l’Ecumene alla ricerca della famosa Terra del Prete Gianni e che in tantissimi, in passato, hanno ricercato prima di me (papi, imperatori, navigatori, pirati ecc., di cui comunque avremo modo di parlare in futuro), sono sorte delle vicissitudini molto più ricche delle banali esperienze presentate alla massa e da chi vuole entrare lo scecco per la coda alla ricerca dell’esclusivo Capitale su cui un uomo barbuto ebbe tanto ridire. Bene, avete capito, forse, parlerò proprio di questo nella rubrica della Wunderkammer, ma… inizierò dal prossimo articolo. Quindi, ve lo dico così alla leggera: stujàtivi ‘u mussu!

 

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