La cena delle belve

Di Vahé Katcha    

Regia ed elaborazione drammaturgica di Julien Sibre e Virginia Acqua

Scene di Carlo de Marino

Costumi di Francesca Brunori

Disegno luci di Stefano Lattavo

Con Marianella Bargilli (Sofia), Emanuele Cerman (Vincenzo), Alessandro D’Ambrosi (Pietro), Maurizio Donadoni (Andrea), Carlo Lizzani (Vittorio), Ralph Palka (Herr Komandant Kaubach), Gianluca Ramazzotti (il dottore), Silvia Siravo (Francesca)

Teatro Stabile di Catania

Stagione 2019/2020

 

Siamo nel 1943, a Roma, durante l’occupazione nazista e la lotta partigiana. Sette amici si ritrovano in casa dei coniugi Vittorio e Sofia per festeggiare il di lei compleanno. È un tempo di vacche magre, carestia di beni e vivande, tranne per l’ultimo arrivato Andrea, che sorprende tutti con una valigia piena di leccornie acquistate al mercato nero. Lui è amico dei nazisti, la guerra ha fatto la fortuna delle sue attività e ha pure imparato un po’ di tedesco per meglio trattare con gli invasori. Sebbene con qualche disdetta imprevista o aggiunta importuna, i convitati trascorrono piacevolmente l’inizio della serata intrattenendosi in scherzi e buone conversazioni, finché, sotto il loro palazzo, due ufficiali tedeschi cadono vittime di un attentato partigiano. La rappresaglia della Gestapo è immediata: i nazisti, in presidio della zona, guidati dal comandante Kaubach nel frattempo irrotto in casa, decidono di prendere come ostaggi due italiani per ogni tedesco ucciso e per ciascuno dei dieci appartamenti del palazzo. Esibendo una certa magnanimità, il comandante dà agli amici la possibilità di scegliere tra di loro chi mandare a morte. L’ilarità iniziale si trasforma in una cena da incubo.

I personaggi mostrano il peggio di loro stessi, il fondo della loro natura abietta, il disperato attaccamento alla vita, sebbene quella vita, per molti, sia ormai un trascinarsi lento e apatico. Sofia è la moglie di Vittorio, una donna giovane, bella e avvenente, che ha una relazione con Pietro; Vittorio vende libri, è un pusillanime fin troppo remissivo e patetico, frequenta case d’appuntamento e ha debiti di gioco con Andrea; Vincenzo è il professore di filosofia, omosessuale, sprezzante della morte, lucido e razionale, che escogita piani di fuga uno più fallimentare dell’altro; il dottore è il codardo, un uomo che dispensa guarigioni ma la cui vita è davvero infima; Pietro è il cieco e invalido di guerra, già abbastanza punito dal conflitto bellico per non credere di dover avere salva la vita; Andrea è il viscido, insulso e opportunista uomo d’affari che non si fa scrupolo alcuno a collaborare con l’occupante; Francesca è la partigiana ideologa e comunista il cui marito è morto in guerra, e anche lei ha una relazione con Pietro. Tra gli amici, tuttavia, manca un solo invitato, che per ragioni sconosciute tarda ancora ad arrivare: Massimo, l’ebreo.

Kaubach è un professore di filosofia di Berlino adesso comandante della Gestapo. Attende che la compagnia si risolva circa i prescelti da consegnargli, intrattenendosi nella biblioteca di Vittorio ricca di testi classici su cui, però, il nazista sembra non essere ben ferrato: cita opportunamente un passo dei Sette contro Tebe di Eschilo – il sacrificio di due uomini per la salvezza degli altri cinque – attribuendo però la tragedia a Sofocle. Più avanti cita Virgilio per Orazio, suscitando le rimostranze del professore Vincenzo. Sono entrambi professori di filosofia, entrambi conoscitori dello spirito tragico degli antichi, del loro disincanto e della futilità del vivere. Il primo, sposando la causa nazista, agisce in modo totalmente casuale; il secondo, stanco dello spettacolo indecente e pietoso in cui sono sprofondati i suoi amici, decide di offrirsi volontario al carnefice. Sanno entrambi quanto la vita valga, un nulla, purché, almeno per Kaubach, non sia quella di un tedesco. La filosofia, le terribili azioni compiute nel passato e la ripugnanza verso gli umani hanno indotto il professore alla serenità, l’anticamera di una decisione così estrema e compagna di chi veramente è padrone della filosofia.

Gli amici da amabili conversatori divengono bestie gelose del proprio sangue, pronti a vendere impunemente la pelle dell’altro pur di avere salva la propria. Congegnano diversi stratagemmi di gruppo per aggirare il nemico tedesco: intercettare l’aiuto di un ufficiale della Wehrmacht la cui moglie, adesso deceduta, era una paziente del dottore; appiccare fuoco alla casa; indicare una rocambolesca via di fuga al dottore giù per l’alta grondaia; offrire all’impassibile Kaubach, con il non molto sofferto assenso di Vittorio, la bella Sofia. Mostrano tutti le loro debolezze, ragionano su chi abbia più diritto a vivere, se la vedova, il cieco, la macchietta, il commerciante, il professore, la moglie infedele o il dottore sorcigno. Inventano anche espedienti individuali: la falsa gravidanza di Sofia accampata da Vittorio; i pazienti del dottore da soccorrere; il denaro inservibile di Andrea; la pietà verso se stessi di Pietro e Francesca. Il professore, invece, va a farsi una doccia, per presentarsi lindo e pulito dinanzi al fetido giustiziere tedesco. E nel frattempo attendono che arrivi Massimo, di modo che, a detta di Andrea, le probabilità di avere salva la vita possano aumentare con l’aggiunta di un ulteriore condannato di 1/8.

Gli umani di questo spettacolo – e perché no anche in generale – sono schifiltosi, ipocriti, dissimulatori ed evitano le rotture brusche esattamente come rifuggono la morte. Infine si scoprono gli uni con gli altri profondamente soli, meschini e insulsi. Di questa insulsaggine se ne avvede anche il professore, il quale, benché non ravvisi più alcun valore nella sua vita, non vuole sacrificarla rendendo un favore a quel branco di belve assetate di sangue amico.

Il termine ultimo per la consegna deliberata però scade: Kaubach fa il suo ingresso e decreta di salvare Pietro, l’invalido di guerra a cui riconosce di aver già pagato un grande fio per la sua patria. Sarà lui il giudice imparziale, a mosca cieca, lanciato dal nazista a pungere col proprio tocco di morte i suoi amici, ancora una volta in maniera casuale. La prima prescelta sarebbe Sofia, se non fosse per il sacrificio del marito che le fa da schermo, e Andrea, che si prostra a terra baciando i piedi di Kaubach.

Il comandante, dopo un pesante bombardamento, come ultimo e inaspettato regalo di compleanno, offre a tutti una salvezza divenuta a quel punto solo un miraggio: il colpevole si è costituito, adducendo di non poter sopportare l’idea che degli sconosciuti paghino per una sua azione. Kaubach mostra un pacchettino rinvenuto tra i suoi abiti, piccolo, con un nastrino rosso, che la compagnia capisce essere destinato proprio a Sofia, la festeggiata. Chi si è sacrificato, l’innocente che ha offerto se stesso per salvare i suoi amici, è proprio Massimo, l’amico mai arrivato. Mentre alcuni amici, in una cena divenuta un campo di battaglia, feroci e spietati si sarebbero uccisi freddamente lanciandosi le accuse più gravi, chi non vi ha preso parte ha invece salvato tutti loro. Massimo non è il più alto, nobile e generoso di questa storia; a salvarne l’umanità è stata la sua assenza, poiché, non c’è dubbio, se si fosse trovato in quel circo di oscenità e turpitudini, avrebbe fatto esattamente come loro, avrebbe usato gli altri per salvare se stesso, come solo i veri amici in fondo riescono a fare.

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