La potenza del Giallo-Sole. We lying by seasand di Dylan Thomas

 

di Enrico Palma

 

The Sun is God!

William Turner

 

Faccio fatica a trovare una poesia più vigorosa, viscerale e scuotente di quella di Dylan Thomas. Una parola che è viva, densa di immagini raggrumate in sillabe da cui stillano ritmo, coraggio, passione. Ed è anche il furore di chi vive il mondo con un’intensità che mai retrocede, che benedice l’aurora, che ignora il verme che consuma le carni e gli spiriti, quando cioè a un mellifluo canto si preferisce un tuono d’ottone. Una poesia che accosto molto volentieri alla musica beethoveniana, un impeto furibondo e gaudente che impatta con violenza sul mondo, ma anche una constatazione lucida e disincantata del divenire degli anni, del rilkiano lento e strano svanire che ci accade e che chiamiamo morire, dell’accettazione della tenebra come cedimento del sé al nulla. Non prima però di avere urlato, cantato, esclamato la propria presenza mescolando gli elementi e compulsando il cuore all’impazzata. La poesia di Thomas è infatti ancestrale, onirica, pura energia.

Sono tante le poesie che si potrebbero citare e provare a commentare ma ne scelgo una forse tra le meno impressionanti, e tuttavia, benché in genere il poeta gallese indulga molto poco nella descrizione, se non per romperne i limiti con espressioni iperboliche e suggestioni ossimoriche, mi sembra che in questo caso il suo estro incedibile metta in moto la fantasia del lettore per prolungarla lì dove vuole che arrivi, all’ebbro zampillo di incontro tra parola e mondo, all’infinito in divenire d’un solo momento come premessa per un altro inizio. 

Scelgo quindi di parlare del tramonto secondo Dylan Thomas in We lying by seasand.

 

We lying by seasand, watching yellow

And the grave sea, mock who deride

Who follow the red rivers, hollow

Alcove of words out of cicada shade,

For in this yellow grave of sand and sea

A calling for colour calls with the wind

That’s grave and gay as grave and sea

Sleeping on either hand.

 

Distesi sulla sabbia, l’occhio al giallo 

E grave mare, burliamo chi deride

Chi segue i rossi fiumi, scava

Alcove di parole da un’ombra di cicala,

Ché in questa tomba gialla di mare di sabbia

Un appello al colore urla col vento 

Ch’è gaio e grave come la tomba e il mare 

che dormono ai due lati.

 

Leggendo l’intera poesia, rispetto alla quale mi soffermo per adesso sulla prima delle tre parti in cui è possibile suddividerla, è facile capire che, come detto, si tratta del preludio a un tramonto, ma di un tramonto assai anomalo, quasi indiscernibile. Un imprecisato we, forse un gruppo o magari una coppia, giace sulla sabbia di una spiaggia, su una bella crasi di parole che Thomas rende con seasand. È un’azione protratta nel tempo, un gerundio (lying) che distende la diacronia del verbo fino alla fine del componimento così da attraversarlo per intero. Lo stesso si dica per quel watching che dilata il taglio della poesia verso una visione rivolta al giallo e profondo mare. Già qui, nei primi due versi, colgo una riformulazione del mare, di norma di colore blu, e della profondità, la quale piuttosto che essere intesa in verticale è invece concepita sotto un altro orientamento. 

Qual è allora, c’è da chiedersi, la situazione concreta in cui il mare, se guardato giacendo su una spiaggia, diventa insieme giallo e profondo? Esiste un momento, sfuggente ma allo stesso tempo ben preciso della giornata, in particolare di quelle estive, in cui il mare è giallo, cioè l’ora nella quale il Sole entra nel suo occaso, in cui essendo ancora visibile nella sua totalità al di sopra dell’orizzonte, fiero della sua circonferenza intatta e padrone della sua area, appare in tutto il suo magnifico giallore. Sicché il cielo dietro di esso, l’aria sciacquata di luce e il mare su cui si affaccia acquistano una magnifica aura gialla. E il mare è profondo poiché si prolunga fin dove il Sole irradia il suo giallore, nell’estremità più remota in cui la materia acquosa si sublima in aria, in luce e in pura visione. 

Il we che giace, che guarda e che si bea del giallo, dileggia coloro che deridono chi segue i red rivers. Sui fiumi infatti cade il riflesso della luce, benché il Sole tramontante possa essere colto in tutto il suo splendido rifulgere lì dove la luce stessa è catturata ed espansa, cioè dove mare e cielo si incontrano nel sipario smagliante dell’orizzonte. Perché è verso ciò che Thomas mette in cammino. È questo che il we sta guardando. Confidiamo allora in chi segue i fiumi e approda all’estuario di ciò che accade sulla spiaggia, in chi giunge alla meta, in chi arriva a contemplare il giallo del sole-a-mare, e anziché ridere e compiangere chi scrive poesie sonnolenti, chi scava rientranze (alcove of words) per versi dormienti all’ombra di una voce di pigrizia (cicada shade) che nulla sa di un guardare più degno, è in tale letto d’ombra che la parola deve apparecchiare il suo corso, in questo canto vano e insensato che acquisisce fondamento per il luogo in cui adesso si trova, perché giace e guarda, e giacendo e guardando finalmente sa farsi cantore di questi versi.

L’occhio che guarda deve saper ascoltare la chiamata in questo giallo estremo, deve saper cogliere l’intimo segreto del Sole che ha nome espansione. Il giallo, oltre a diffondersi dal punto più fondo della visione, all’orizzonte in cui si staglia, adesso è di sabbia e di mare, è giunto a coprire il tutto, coesiste con ciò che guardiamo e nel luogo in cui siamo. E in tale giaciglio privo di limite ma pervaso da un’onda terrosa che il Sole nel suo battito ha risospinto fino al we, rimbomba prepotente, col vento mescolato al raggio di luce sventagliato nel circostante, una richiesta al colore, un vigore teso al giallo, vento che è beato come il profondo e il mare che dormono quieti ai due lati, dall’orizzonte in cui avviene il destino del giallo al sentirsi hic et nunc del trovarsi sulla spiaggia.

La scelta lessicale di Thomas su grave, dapprima in forma aggettivale e poi sostantivata, induce per la verità a un’ulteriore riflessione. Grave è infatti il senso del profondo, di ciò che è estremo come il punto più lontano della visione in cui si trova il Sole e da cui il giallo si diparte. E nondimeno grave sta anche per tomba, determinando in questo modo un ribaltamento quasi incomponibile dell’interpretazione. Il yellow grave potrebbe essere infatti una tomba gialla in cui tutta l’atmosfera del guardare e del giacere, del sea e del seasand, dell’acquoso e del tellurico, viene riformulata in un avvenimento funereo a cui il giallo prelude. Cosa può morire? Perché il vento deve condurre il nostro appello affinché il giallo risparmi il condannato a morte, affinché la tomba rimanga vuota e venga anzi inondata anch’essa dal colore?

 

The lunar silences, the silent tide

Lapping the still canals, the dry tide-master

Ribbed between desert and water storm,

Should cure our ills of the water

With a one-coloured calm;

 

I silenzi lunari, la marea silenziosa

Che lambisce i canali stagnanti, l’arida padrona

Della marea incassata tra deserto e burrasca,

Dovrebbero curare i nostri mali d’acqua

Con una calma d’un unico colore;

 

 

Se finora il protagonista indiscusso della poesia era stato il Sole, e il suo giallo profondo ed espanso, adesso è sorella Luna ad aggiungersi alla festa dei colori. I silenzi lunari sono tacite presenze che pur accadono, benché assai distanti, sulla superficie increspata di un corpo celeste che osserva e agisce sulla nostra vita, piccoli talismani in balìa delle invisibili forze cosmiche. E così lo è anche l’onda, la marea silenziosa che indisturbata agisce di continuo nell’indefesso andirivieni delle ore e della risacca, che bagna i canali inerti dando loro nuova energia e trasmettendo forza. Come lo è del resto anche la sua secca e asciutta signora, tale padrona della marea, ciò che la causa e la determina, quella Luna che è incastonata, nel trionfo dell’ora dorata, tra il deserto sabbioso della spiaggia e la tempesta d’acqua luminosa che il Chiaro irradia tutto intorno. La Luna, la marea e i suoi silenzi, quasi in un movimento a ritroso, dovrebbero lenire i mali di chi giace sulla sabbia ed è inglobato nel darsi del Giallo. Dovrebbero altresì curare i mali d’acqua per via di un giallo che non sarà mai tale per sempre, poiché esso dovrà svanire e poi cedere il posto all’oscuro avveniente e galoppante, di modo che, a un certo punto, ci si infurierà per il fatto che un colore solo, il giallo che tutto ricopre di piacevolezza, gaudio e incanto, non possa dominare su tutto e durare oltre quest’attimo. Il giallo infatti più che essere una meta è un passaggio, anziché un arrivo è un percorso, non soltanto dunque il grave in quanto profondo come comparsa e svelamento dell’enigma ma anche tomba.

 

The heavenly music over the sand

Sounds with the grains as they hurry

Hiding the golden mountains and mansions

Of the grave, gay, seaside land.

 

La musica celeste sulla sabbia

Suona in ogni granello mentre accorrono

A coprire i castelli e i monti d’oro

Della grave, gaia terra in riva al mare.

 

La musica celeste che risuona sulla spiaggia, con una bella sinestesia, figura retorica di cui Thomas è un vero maestro, è la luce del giallo, che colpendo ogni granello fa risuonare le particole di sabbia con una polifonia di immagini generate dalla luce diramante dall’orizzonte. Il cielo, posseduto completamente dal giallo, dal colore del suono della luce, accorre a coprire le dune, gli anfratti, i declivi della spiaggia, e di ciò che c’è dietro di essa, su di essa, in mezzo a essa, ancora una volta dispiegando tale gaudente, felice e regale visione di luce la cui pienezza è un risuonare glorioso nel tutt’uno di terra e acqua nel quale in un colpo d’occhio si addensa l’universo. Il giallo possiede il mondo, è l’attimo estatico in cui il cosmo acquista un’identità uniforme, un’essenza raccolta dell’ancipite manifestazione del sensibile, che è spiaggia terrosa e mare fluido riuniti dalla luce. Si tratta dell’istante in cui il tempo si ferma e il mondo viene colto nell’invincibile pienezza del suo eterno, quando statico e flussico si risolvono l’uno nell’altro, quando non c’è opposizione e conflitto ma solo una sensazione di placida, benefica e totale sospensione. 

 

 

Bound by a sovereign strip, we lie,

Watch yellow, wish for wind to blow away

The strata of the shore and drown red rock;

But wishes breed not, neither

Can we fend off rock arrival,

Lie watching yellow until the golden weather

Breaks, O my heart’s blood, like a heart and hill.

 

Avvolti da un nastro sovrano, sdraiati,

Guardiamo il giallo, facciamo voti che il vento

Spazzi gli strati della riva e anneghi

La rossa roccia; ma i voti sono sterili

E non possiamo opporci all’avvento roccioso;

Giaci guardando il giallo, o sangue 

Del mio cuore, finché la stagione dorata 

Non vada in pezzi come un cuore e un colle.

 

 

La poesia ritorna al we con cui era iniziata, al noi che giaceva sdraiato sulla spiaggia guardando il giallo alla fine dell’orizzonte, dove mare e cielo si uniscono per via di un osservatore che lo guarda, perché, è ovvio, l’orizzonte si genera solo quando esiste una coscienza che lo coglie e nella quale può avvenire il congiungimento di aria e acqua in una perfetta linea retta. Il we è avvolto da questo nastro di colore che risuona sulla spiaggia e, picchiettando come una pioggia dorata, feconda il presente e prolunga l’attesa. Catturato dal giallo il we guarda il giallo che è ormai ogni cosa: ha ricoperto gli elementi e li ha fusi insieme in un crogiuolo di luce a cui legare ogni sguardo e battito. E nella gioia del momento, quando il tempo è sospeso e l’attimo ingabbiato dalla luce, non si vive fino in fondo questo presente luminoso. Si fanno preghiere, si esprimono desideri, si stringono false promesse con l’ora e col sempre, affinché l’aria smossa dal divenire, che nel frattempo ha ripreso vigore e si è divincolata dalla dirompenza del giallo, espunga dal mare l’increspatura delle onde, come foglie secche cadute da un ramo in autunno, e faccia di esso una lamina, una copia del cielo sgombro di nubi, un formidabile specchio che assorba la luce per farsi esso stesso luce, tale da consentire al vento di far sprofondare nell’acqua, in quell’abisso che è il duplice grave, la red rock. Ma cos’è questa rossa roccia? Avevamo già incontrato qualcosa di rosso nella poesia, i red rivers, i seguitori dei quali venivano dileggiati da chi ignorava la sacralità del trovarsi sulla spiaggia testimone e partecipe della gloria gialla. 

Il divenire però riprende, il tempo scorre, l’attimo della pienezza è solo un attimo, sicché anche il giallo dovrà finire, anche la luce dovrà morire, anche il Giallo-Sole dovrà tramontare. La rossa roccia mi sembra infatti il Sole al tramonto, che ha irradiato luce e che proprio perché cala all’orizzonte perde di vigore, affievolisce la carica di giallo, colorandosi lentamente di rosso-sangue fino a sparire del tutto, in un mare che presto sarà completamente oscuro. Il giallo liquefatto del Sole che aveva posseduto ogni cosa, che aveva reso il circostante uniforme sotto l’egida di un unico colore, l’aspirazione gridata al vento che tuttavia non ha esaudito la preghiera più sentita di risparmiarci al tramonto, non può nulla contro il rock arrival, tale avvento roccioso in cui il giallo si solidifica e ritorna nel guscio morente del Sole rosso. 

Giaci allora, resta fin che puoi, dura nel pieno godimento di quest’attimo, sembra esclamare Thomas nei potentissimi versi finali. Fissati nel giallo, riempiti di esso, senti il cosmo pulsare in preda alla sua vera forza, al suo furore. Ma a fare ciò deve essere il rosso del sangue, che è nelle vene dei red rivers che portano al colore dell’oro, che è nella roccia pulsante del cuore (red rock), che è vita oltre il tramonto, che è tempo dopo la morte della luce, che è illuminazione rischiarata dal Giallo. E si deve guardare e giacere, i due verbi tematici del poema, cioè ancora una volta lie watch, come si è compreso i segni di permanenza e flusso, finché l’incanto della golden weather, la stagione dorata vissuta attraverso il giallo e nel giallo, in cui stasi e divenire convergono in un concetto più alto ed edificante come un cuore e un Sole fattisi roccia nel rosso del tramonto, non si spezzi nella tristemente necessaria e ahinoi indefettibile fine del Giallo. L’appello è dunque a godere dell’istante immediatamente precedente al tramonto, ovvero quando ci si sente infinito, la disponibilità assoluta dell’essere assale e riempie e i debiti col mondo che sono il nostro destino esistenziale si dileguano nel mare. E noi, inghiottiti e trasfigurati dalla Luce e dal Sacro che si danno nel barbaglio del Giallo, tentiamo di differire la solidificazione rocciosa e auspichiamo l’assorbimento di ogni rifrazione, un’unità in cui la Differenza si dissolve e il Chiaro trionfa sovranamente su ogni cosa. 

Quando Fetonte arriva al Sole e noi giacendo e guardando ne seguiamo stupefatti, e anche angosciati, la magnifica caduta.

 

 

*La traduzione della poesia è di A. Marianni, in D. Thomas, Poesie, Einaudi, Torino 2016, p. 81.

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