«Ci sono dèi e governano, grande è la loro misura». Al tramonto di un Nomos

di Stefano Piazzese

Tutto è nato da l’acqua! Tutto viene conservato da l’acqua! Oceano, concedici il tuo eterno dominio![1]

1. Naufragium feci, bene navigavi

Opposizione ancestrale quella di terra e mare; tremendo Πόλεμος caratterizzante anche il tempo presente. La filosofia, sin dalla sua fase aurorale, ha da sempre vissuto con il mare una sinergia che ha trovato precisa ed eloquente testimonianza nella θεωρία di molti pensatori. Prendendo le mosse dall’assunto storicamente fondato secondo cui il mare fu un elemento costitutivo per lo sviluppo dei popoli e delle civiltà antiche[2], vogliamo considerare la sua centrale importanza per il discorso filosofico-giuridico e geopolitico.

Lo scopo del presente saggio è quello di esaminare la tesi che vede nell’opposizione di terra e mare, nei termini delineati da Carl Schmitt, il motore della storia e una prospettiva ermeneutica valida per comprendere il nostro tempo.

Il movimento incessante delle onde che circonda la terraferma, e che quindi la determina, rimanda sempre al salpare del pensiero verso nuovi lidi, inesplorati orizzonti e insapute condizioni atmosferiche che attendono colui che decide di inoltrarsi nelle tremende acque del pensare. Tremende come tremendo (da tremĕre, ‘tremare’) è ogni luogo in cui nulla è fermo poiché vivente nella costante possibilità di vacillare, e dove ogni piano ben saldo per poggiare il piè è sorretto da ciò che può anche travolgere, devastare, uccidere o, nel migliore dei casi, rendere quell’uomo un naufrago ramingo e vagante tra i flutti, tra la luce di un sole che incide i suoi segni sulla pelle e il sale marino che rende imbevibile l’acqua, frustrando la sua sete.

Il mare invita a pensare il nuovo e a lasciare da parte ogni pensiero già dato? Difficile è rispondere a questa domanda. Il poeta Rimbaud ci aiuta formulando una definizione precisa del concetto di eternità: «È il mare che va / Con il sole»[3], sicché il mare diventa il luogo della scienza con pazienza, luogo dove ti liberi e voli dove vuoi, luogo di liberazione dagli umani suffragi. Ma tale luogo è anche il ‘regno’storico di uno scontro.

È essenziale qui il rimando all’alterità, a tutto ciò che è altro dal proprio qui e ora, dalla propria situatività (Befindlichkeit) ermeneutica, dalla propria collocazione storico-sociale, da ciò che determina e definisce, entro saldi confini non certo esenti da problematiche e/o aspetti contraddittori, l’esistenza. Il rimando all’alterità apre lo spazio alla decisione che chiama, o costringe, ad andare altrove: l’esistenza dell’altro prende sempre forma dalla dialettica incontro-scontro (amico-nemico). L’altrove della filosofia, però, è diverso dall’altrove della fede, in quanto quest’ultimo, proprio perché è indicato, comandato e guidato dalla vox Dei, del mare sconfigge e oltrepassa ogni dimensione di pericolo, ostacolo, paura e inquietudine affinché trionfi la potenza di Dio in favore di coloro che a lui si sono affidati e che lui ha scelto/eletto: «Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero»[4].

L’altrove della filosofia, non avendo la rivelazione a suo presupposto, si muove, si sposta, si erge, trionfa, cade e vacilla come nave in tempesta[5], per richiamare una metafora adoperata da Cambiano che ha lo scopo di introdurre l’argomento del governo dellaπόλις in Platone e Aristotele, e che nel presente saggio assurge a Leitmotiv per la ragione che segue: «La metafora della nave […] accompagna il pensiero umano da 2500 anni. Evidentemente si tratta di un’immagine dalla forza magica. L’uomo come essere terraneo vede in essa simbolizzato il grande azzardo che per essere sostenuto richiede costante attenzione e sapiente ‘gubernatio’ quanto volontà di autoaffermazione e sopravvivenza»[6].

L’altrove della filosofia, che il mare come elemento vivo e dinamico invita a esplorare – il respondēredi cui il vero filosofo deve farsi carico –, può condurre a esiti diversi, come diverse possono essere le sorti di una nave in tempesta. Nella fase introduttiva del presente saggio ci limiteremo a evocare due immagini, la cui potenza esplicativa, relativa all’isomorfismo storico e concettuale filosofia-mare, può esserci d’aiuto. La prima è il dipinto di Théodore Géricault Le Radeau de la Méduse[7]; la seconda è il dipinto di Louis-Philippe Crépin Combat de la Poursuivante contre l’Hercule[8].

Nel primo dipinto l’artista, volendo ‘narrare’ la vicenda, a lui contemporanea, della fregata francese Méduse, raffigura la zattera che ospitò al suo interno un gruppo di circa centoquarantasette persone delle quali solo quindici fecero ritorno a casa; dunque, il mezzo di navigazione (o salvataggio, in questo caso) è una zattera che si trova immersa nel turbine della devastazione che viene dal mare; lo stesso mezzo che condusse i superstiti a solcare i confini delle esperienze umane trasfigurandoli in vittime, carnefici e (pochissimi di loro) sopravvissuti: disperazione, morte, angoscia, tempo, dismisura, sete, fame, desiderio di salvezza sono tutti eventi che stanno a fondamento del θαυμα da cui la filosofia ha scaturigine[9]. I due cadaveri nell’angolo in basso a sinistra e il signore seduto in posa riflessiva con una mano sul viso, l’altra che sorregge il fianco del cadavere e lo sguardo rassegnato di chi, consapevole, si è inginocchiato a Άνάγκη, dicono la temporalità dell’essente, la sua finitudine, la sua totale vulnerabilità di fronte all’incedere di Necessità e, allo stesso tempo, lasciano spazio al controcanto della speranza dei superstiti che da lontano scorgono il battello Angus, loro salvezza. Proteiforme è sempre il discorso sull’esistenza, mai univoco, mai singolare, mai assoluto, mai immutabile come immutabile è, invece, l’inesorabile intreccio di morte e vita. Il viso dell’uomo prima descritto appare calmo nonostante la dissoluzione; lo sguardo di fa esperienza delle parole del poeta: Felice chi può conoscere le cause delle cose | e calpesta con i piedi ogni timore | e il fato inesorabile e lo strepito dell’avaro Acheronte[10].

Nel secondo dipinto (l’opera venne commissionata da Napoleone Bonaparte) è una fregata della marina militare francese a dominare la ‘scena’, in uno stato di quiete, nella sua bellezza, forza bellica, prontezza e fierezza in merito al compito per cui è stata costruita. Un’immagine che certamente, al contrario della prima, trasmette placidità, sicurezza, decisione e velleità di navigazione; tutti elementi che stanno a fondamento dello stesso filosofare inteso come esercizio del potere, di quel sapere che è potere stando a Bacone. Qui la filosofia è posta dinnanzi alla ϋβρις della talassocrazia di cui, pur prendendone le distanze, non può non condividerne la forza sradicante: «La filosofia deve ‘salpare’ da ogni dóxa, da ogni Nomos acquisito solo per forza di tradizione – ma, ad un tempo, e con tutte le sue energie, contrastare l’equivalenza tra giusto e utile, tra giusto e semplice equilibrio di potenza, tra giusto ed effettuale»[11].

Quale necessità ha la νόησις del mare? «Nella vita sul mare è implicita quella specialissima tendenza all’esterno, […] il procedere della vita oltre se medesima»[12].Nella storia dell’umanità è a partire dalla talassocrazia ateniese che il mare diviene principio ed elemento della riflessione filosofica, della prassi politica; è qui che tra il mare e la filosofia ha inizio un problematico rapporto. Cacciari, prendendo le mosse proprio dall’avvento della talassocrazia, pone il suddetto rapporto – mare-pensiero – nella forma seguente:

«il viaggio della filosofia sarà, allora, rivolto a guadagnare una terra ancor più salda di quella abbandonata, un Nomos finalmente ben fondato. Il mare apparirà via, metodo; e il possesso del metodo, della dià-noia, del dis-corso, vera téchne nautiké, strumento necessario alla nòesis, alla perfetta, e in quiete, intuizione del vero. La talassocrazia verrà così dialetticamente compresa dalla filosofia, come sua parte, non suo fine».[13]

Ecco l’evento dà vita al tratto distintivo più importante della πόλις greca divenendo, successivamente, carattere ab imis fundamentis dello spirito d’Europa. La talassocrazia è compresa nella filosofia poiché ogni intuizione noetica della verità avviene per mezzo del μέθοδος (mare, navigazione). L’abbandono (Aufgabe) è sempre in vista di un nuovo possesso (Besitz) della ragione. Pertanto, la νόησις ha necessità del mare, elemento che spinge sempre verso l’alterità, per ri-definire i confini del sapere acquisito, per ri-definire, ancora una volta, i confini del proprio potere[14].

Come abbiamo già detto, nell’atto della navigazione/esplorazione è insito un rischio. La sciagura può piombare inesorabilmente, contro ogni aspettativa e nonostante l’incremento della stessa potentia che attraverso il mare vuole dominare, imporre il proprio λόγος: qui riposa e si agita la dialettica Terra-Mare che ha guidato la storia dell’Europa e dell’intero Occidente (pensiero che guida la Terra). Nello Zarathustra il filosofo parla delle alte montagne come luogo par excellence del pensiero, ambiente dove la prospettiva diventa sempre più ampia e pura dalle contaminazioni dei bassi luoghi; la stessa parola poetica e filosofica tiene sempre presente l’orogenesi: «Donde vengono le montagne più alte? Chiedevo in passato. E allora imparai che esse vengono dal mare»[15]. Se il mare è destino, e se i pericoli che da esso provengono sono necessari al pensiero, «con questi enigmi, queste amarezze in cuore, navigava Zarathustra sul mare»[16]. Qui, nel mare, ha inizio la solitudine e il percorre solingo di Zarathustra. Ma il navigare di cui parla il filosofo può anche oltrepassare i confini, spesso atrofizzanti, della dimensione soggettiva per divenire modo di esistenza e decisione di un popolo.

2. Ermeneutica schmittiana della storia: Dislocazione storica dell’esistenza

Nell’opera del 1942 Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung Schmitt individua nell’opposizione Terra-Mare il motore propulsore che ha guidato, con forza determinativa, gli sviluppi della storia dell’umanità. Questo saggio del filosofo e giurista, di cui spesso viene sottovalutata l’importanza, si presenta e viene non di rado considerato come fase prodromica della celebre opera Nomos der Erde (1950); tentativo, quest’ultimo, di concettualizzare per lo ius gentium ciò che la Verfassungslehre (1928) aveva sistematizzato, e avente come punto di conclusione della teoresi giuridica il diritto statale interno, questione che impegnò il lavoro di Schmitt fino agli anni ’30. Ivi, in apertura, leggiamo: «Si tratta dunque di una questione aperta: qual è il nostro elemento? Siamo figli della terra o del mare?»[17].

La domanda posta da Schmitt, la cui funzione euristica è quella di introdurre l’esposizione dell’evoluzione geopolitica del pianeta prestando maggiore attenzione all’arco temporale che si estende a partire dalla fine del quindicesimo secolo fino al tramonto del Nomos di cui parla, è un interrogativo che ancora oggi possiede la sua attualità, come tutte le considerazioni inattuali, del resto. Trattasi anche di rispondere a una domanda implicita che storicamente viene rivolta a tutti coloro che studiano il pensiero del giurista tedesco, ovverosia l’interrogativo di Kervégan: Che fare di Carl Schmitt?[18]. Quesito a cui darà una precisa risposta l’argomento che segue e la sua conclusione. Le molteplici Auseinandersetzungen sorte dalle diverse interpretazioni date al pensiero di Schmitt hanno dato vita a impegni di studio e di ricerca, a opere di alta qualità e intensità scientifica, che ci permettono di cogliere nel pensiero del filosofo dei validi strumenti per valutare, interrogare, leggere e comprendere le questioni geopolitiche dei nostri giorni.

Chi è l’uomo? «È un essere di terra che calca il suolo. Staziona, cammina e si muove sulla terra dal solido fondamento»[19]. Le parole che aprono il saggio in esame rammemorano quella che, stando all’antropologia filosofica di Scheler, possiamo definire la posizione dell’uomo nel cosmo, ovvero ciò che definisce l’animalità di Homo sapiens, il luogo e il modo in cui egli sta, in cui vive come edificatore della propria dimora e come nomade diretto costantemente verso l’altrove. Allorché egli è l’animale che non esaurisce il proprio stare entro i confini dell’ambiente di appartenenza, dei quattro elementi fondamentali e necessari alla vita (terra, acqua, aria e fuoco), un altro, assieme alla terra, occupa un posto di preminenza[20]. Ne consegue che la storia dell’umanità – ricordiamo che quella di Schmitt è Eine weltgeschichtliche Betrachtung – è storia di lotte tra le potenze marine (Seemächte) e le potenze di terra (Landmächte), e viceversa. Ciò è possibile perché si tratta dei due motori propulsori della storia (Land und Meer, appunto), e non solo dei due elementi costitutivi della vita: da questa prospettiva il filosofo ricostruisce la storia d’Europa. Motori poiché l’innescarsi del loro polemico rapporto, divergere che genera storia, crea le condizioni del casus belli e incentiva il sorgere della dimensione decisionistica che pertiene all’umano, laddove quest’ultimo è inteso come energia creativa che agisce e scrive la storia. In tal guisa, «egli possiede un margine di potere e di padronanza sulla storia. Può scegliere e, in certi momenti storici, può scegliere l’elemento per il quale, con la sua azione e con la sua opera, egli si decide quale nuova forma complessiva della sua esistenza storica e nel quale si organizza»[21]. La forma complessiva dell’esistenza vien definendo viepiù il destino dell’uomo inserito nelle complesse, e per certi aspetti criptiche, dinamiche storiche scaturenti dalla contrapposizione di cui parliamo. Un popolo, in forza del margine di potere decisionale che ha e che esercita, può scegliere l’elemento in forza del quale orientare la propria esistenza. Va da sé che la diversa possibilità di rapportarsi al mondo, a partire dalla terra o dal mare, non è data una volta per tutte: ogni istante storico squaderna sempre le possibilità che chiamano a de-cidere.

Al centro del ragionamento filosofico-giuridico vi sono i concetti di ordinamento spaziale e di Nomos (nella triplice accezione di appropriazione, distribuzione e utilizzo); quest’ultimo sarà successivamente sviluppato nel saggio del 1950, dove è inteso principalmente come forma immediata nella quale si rende spazialmente visibile l’ordinamento politico di un popolo[22]. Schmitt sostiene che la relazione dei termini in greco NemeinNomos può essere il fondamento della relazione dei termini in tedesco NehmenNahme, prendereappropriazione, e a partire da questa problematica speculazione filologica percorre i sentieri della storia come appropriazione di terra che i popoli hanno esercitato fino al XVII secolo, periodo in cui l’Inghilterra iniziò a fare esperienza del mare in modo diverso.

Terra e mare, pertanto, indicano due differenti situazioni ermeneutiche ed esistenziali a partire dalle quali, per un popolo, è possibile creare, edificare e trasformare il mondo. Va precisato che l’opposizione (Gegensatz) di cui parliamo, nel suo render conto dell’intera storia dell’umanità, è e rimane, tuttavia, un fenomeno (Erscheinung) caratteristico del Weltbild moderno secondo le traiettorie principali dello spirito del tempo, ovvero: disincanto del mondo (Entzauberung der Welt) e disanimazione della natura (Entseelung); Schmitt l’adopera come chiave di lettura per leggere lo sviluppo storico della modernità, in quanto solo in quest’ultima epoca si fa avanti una popolazione che realmente si de-cide per il mare, ovvero che elegge il mare a proprio elemento. La talassocrazia ateniese e l’impero di Venezia, ad esempio, anche se sono storicamente delle eloquenti testimonianze di popoli che hanno fatto del mare una dimensione fondamentale, rimangono realtà storiche ancora lontane dal realizzare un’esistenza realmente orientata verso l’elemento marino. Secondo la tripartizione schmittiana (fase potamica, talassica e oceanica) esse rimasero ‘ancorate’ alla seconda fase[23].

L’opposizione tra potenze di terra e potenze di mare è la dinamica che guida e governa le vicende storiche di cui è immagine la vicenda biblica della lotta tra il Leviatano, animale marino, e Beemoth, animale terrestre, secondo la narrazione teologica del Libro di Giobbe[24] e alla luce dei successivi sviluppi della stessa nella tradizione cabalista. Qui, come in tutte le fasi del pensiero di Schmitt, la Politische Theologie[25] è una dimensione consustanziale a ogni λόγος giuridico, orizzonte intramontabile del vero discorso politico occidentale.

Il periodo che va dal 1550 al 1713 vide l’emergere della supremazia marittima dell’Inghilterra rispetto alle altre popolazioni. Degli inglesi fu il potere talassico e oceanico di quel mondo: l’isola si è trasformata in veicolo del mutamento spaziale verso un nuovo Nomos della terra. Essa esperisce una rivoluzione spaziale, evento che ha deflesso l’esistenza di questo popolo dalla terra verso l’elemento del mare. Tale rivoluzione comportò storicamente una mutazione paradigmatica del concetto di spazio che investì tutti i campi dello spirito creativo[26]. I popoli d’Europa trattarono le terre ‘scoperte’ e i popoli nativi come terre di nessuno, terre di conquista. Cattolici e Protestanti adoperarono la nozione di missione: nasceva l’esigenza di cristianizzare i popoli non cristiani. Successivamente, il concetto di missione venne sostituito da quello di civilizzazione, in forza del quale tutti i popoli non europei subirono un processo di trasformazione che li plasmò secondo le forme della cultura europea. La Riforma trasformò la conquista del nuovo mondo in uno scontro tra potenze cattoliche e potenze protestanti, i cui rispettivi e principali schieramenti (blocchi) furono Spagna e Inghilterra: mentre la prima orienta la propria esistenza verso l’elemento della terra, il fronte protestante compie la decisione fondamentale (Grundentscheidung) per l’acqua[27].

3. Epoca del tramonto: l’incedere del nuovo Nomos

I due diversi modi di esistenza si esplicano anche come diverse ermeneutiche del concetto e della realtà storica della guerra. L’opposizione di terra e mare fu, per molto tempo, la legge fondamentale del pianeta, il Nomos della terra in quest’epoca, afferma Schmitt. Ma quale attualità può avere l’argomento schmittiano ai giorni nostri? I giorni in cui il mare e gli oceani non hanno più i connotati geopolitici dell’epoca decritta da Schmitt; i giorni in cui la tecnica dei mezzi di trasporto e di comunicazione ha trasformato il mare in nudo spazio. La possibilità che ha il navigante di conoscere in ogni istante in quale punto dell’oceano si trovi la sua imbarcazione comporta un mutamento paradigmatico che divelta la fondamentale «separazione di mare e terra sulla quale fu costruito il legame, sino a oggi esistito, di dominio del mare e dominio del mondo»[28]; in breve: a venir meno è il Nomos della terra fino ad allora vigente. Chi e cosa hanno preso il suo posto? Il suo decadimento ha lasciato campo libero al sorgere di un nuovo Nomos, arconti e potenze di questo mondo, tenente conto delle nuove dimensioni e dei nuovi rapporti dell’esistenza. Il Nomos nuovo, il cui nŏvum reca con sé l’angoscia dell’inedito poiché caratterizzato dal turbamento per il non ancora conosciuto, si fa strada; e se ad affermarlo era Schmitt, nel suo tempo, oggi sorge la domanda: a che punto siamo? Quel modo di concepire la potenza che viene dal dominio degli e sugli oceani sembra essere giunto al suo epilogo storico, al suo tramonto.

Ogni grande epoca storica ha il suo Nomos, e se la nostra ora è l’epoca del tramonto (Untergang), seguendo il sentiero heideggeriano per cui «tra-monto (Unter-gang), inteso in senso essenziale, è il cammino (Gang) che conduce alla tacita preparazione di ciò che viene, dell’attimo e del sito nei quali si prende la decisione sull’avvento e sulla mancanza degli dèi»[29], il primissimo inizio di ciò che ha da venire è nemico del Nomos? È caos che annichilisce ogni misura? Secondo il grande giurista del Novecento, se l’antico Nomos viene meno non bisogna per questo essere profeti di morte e distruzione: un nuovo senso è in lotta e vuole imporre il suo ordinamento. L’imperio della tecnica, nella forma della sua supremazia in cui oggi viviamo, ha prodotto anche l’arma atomica che ha mutato in modo irreversibile il rapporto tra politica e guerra, rendendo illimitato il carattere di quest’ultima. Il conflitto bellico tra stati non è più definito da confini: nullificante e totalmente dissolutivo è il suo nuovo potere. Ma questa forma della tecnica (è bandita ogni sua demonizzazione) non è l’ultima parola, o la unica voce del nuovo Nomos.

L’avvento e la mancanza degli dèi presidiano anche lo scontro tra vecchie e nuove forze da cui sgorgano nuove misure e proporzioni per conferire forma, dare ordine, al tempo presente. Anche qui, nel nostro tempo, Evo che ha consacrato il dominio e la manifestazione faustiana dalla tecnica (nuovo Nomos), anche qui ci sono dèi e governano, grande è la loro misura[30]. Urge un Politico che, in forza della sua professione, sia in grado di dialogare e incanalare la Tecnica, le sue manifestazioni e i suoi sviluppi all’interno di un ordinamento concreto. Un λόγος avente in sé l’auctoritas di dominarla[31]. Ma non solo. V’è un’altra questione di vitale importanza che dalle pagine di Schmitt è possibile delineare. L’appello che ci rivolge il presente pone di fronte a un’altra sfida: può la vita rinascere spirituale nell’epoca della totalizzante pervasività della tecnica che investe ogni dimensione dell’esistente[32]?

Al tramonto ogni popolo può volgersi al fondo della propria collocazione storico-esistentiva, e lì considerare la necessità del domandare e del rispondere che l’ergersi di ogni Nomos pone in essere. Così anche l’Europa, come Zarathustra, può esclamare dinnanzi al nuovo che l’attende, e di cui tuttavia fa già esperienza: Così vuole il mio destino: orsù! Io sono pronto![33]. Il pensiero di Carl Schmitt ci viene incontro, ancora una volta, per comprendere il mutamento epocale – κρίσις – che oggi investe l’Europa, e dunque la sua condizione attuale in tutte le dimensioni dello spirito umano.

Naufragium feci, bene navigavi.


[1] J.W. von Goethe, Faust e Urfaust (Faust- Eine Tragöedie, Urfaust), trad. di G. V. Amoretti, Feltrinelli, Milano 2021, atto II, vv. 8435-8437, p. 477.

[2] Cfr. J. Burckhardt, Über das Studium der Geschichte, München, 1982: lo storico sostiene che la differenza tra la polis greca e lo Stato ‘asiatico’ consiste proprio nell’assenza della navigazione in quest’ultimo.

[3] A. Rimbaud, L’eternità (L’Éternité), in Opere, trad. di O. Tajani, Marsilio Editori, Venezia 2020, vv. 2-4, pp. 364-365.

[4] Esodo, 14,21, in La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2011, p. 154.

[5] Cfr. G. Cambiano, Come nave in tempesta. Il governo della città in Platone e Aristotele, Laterza, Roma-Bari 2016.

[6] H. Quaritsch, Das Schiff als Gleichnis, in «Recht über See. Festschrift für Rolf Stödter zum 70. Geburtstag», citato e tradotto da A. Bolaffi nella sua presentazione a C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo (Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung), trad. di A. Bolaffi, Giuffrè Editore, Milano 1986, pp. 26-27, nota 70.

[7] T. Géricault, Le Radeau de la Méduse, 1818-19, olio su tela, 491×716 cm, Musée du Louvre, Parigi.

[8] L.-P. Crépin, Combat de la Poursuivante contre l’Hercule, 1803, olio su tela, 165,7×260,5 cm, Musée national de la Marine, Parigi.

[9] Cfr. Platone, Teeteto, 155d; Aristotele, Metafisica, I, 2, 982b 12-15.

[10] Virgilio, Georgiche, II, vv. 490-492.

[11] M. Cacciari, Geo-filosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1994, pp. 54-55.

[12] Ivi, p. 65.

[13] Ivi, pp. 54-55.

[14] Cfr. C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo (Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung), trad. di A. Bolaffi, Giuffrè Editore, Milano 1986, p. 91.

[15] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra (Also sprach Zarathustra), Parte III, Il viandante, in «Opere» VI/1, trad. di M. Montinari, Adelphi, Milano 1968, p. 187.

[16] Ivi, Parte III, Della beatitudine non voluta, p. 195.

[17] C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo, cit., p. 35.

[18] Cfr. J.-F Kervégan, Che fare di Carl Schmitt? (Que faire de Carl Schmitt?, 2011), trad. di F. Mancuso, Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 16-17.

[19] C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo, cit., p. 33.

[20] Ivi, p. 34.

[21] Ivi, pp. 36-37.

[22] Cfr. Id., Il Nomos della terra nel diritto pubblico internazionale dello «Jus Publicum Europaeum» (Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum, 1950), trad. di E. Castrucci, Adelphi, Milano 1991, pp. 54, 59, 63, 70: «Il nomos […] è un evento storico costitutivo, un atto della legittimità che solo conferisce senso alla legalità della mera legge. […] tutte le regolamentazioni successive, scritte e non scritte, traggono la loro forza dalla misura interna di un atto originario, costitutivo e ordinativo in senso spaziale. Questo atto originario è il nomos».

[23] C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo, cit., p. 40.

[24] Giobbe, 40-41, La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2011, pp. 1190-1193.

[25] Cfr. R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero, Einaudi, Torino 2013, p. 45.

[26] Ivi, pp. 63-64.

[27] C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo, cit., pp. 71-71.

[28] Ivi, p. 81.

[29] M. Heidegger, Contributi alla filosofia Dall’evento” (Beiträge zur Philosophie Vom Ereignis”, 1989), VI, 250, I venturi, trad. di A. Iadicicco, Adelphi, Milano 2007, p. 380.

[30] C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo, cit., p. 82.

[31] C. Schmitt, Terra e mare. Una considerazione sulla storia del mondo, cit., Dialogo sul nuovo spazio, p. 108: «Colui il quale riuscirà a imprigionare la tecnica scatenata, a domarla e immetterla in un ordinamento concreto, avrà dato una risposta all’appello del presente più di colui che cerchi con i mezzi di una tecnica scatenata di atterrare sulla Luna o su Marte».

[32] Cfr. M. Cacciari, Il lavoro dello spirito. Saggio su Max Weber, Adelphi, Milano 2020.

[33] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra (Also sprach Zarathustra), Parte III, Il viandante, cit., p. 187.

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