Göbekli Tepe: la ricerca del sacro

 

di Rachele Agosta

 

Nella vita di tutti i giorni (in effetti in maniera diacronica e diatopica) viene frequentata la sacralità, declinata in riti che sono necessari a darle una forma, che si afferma, che si tramanda, che divide le genti diventando motivo culturale. Il record archeologico legato a quest’ambito non è facilmente riconoscibile, proprio per l’alto tasso di simbolismo che irrimediabilmente appartiene alle religioni.

Per leggere i segni materiali che si riferiscono ai culti dovremmo prima riuscire a dare una definizione di ciò che è la religione. Fra i tanti tentativi di delimitare il problema ad una risposta universale, emerge quella formulata da Sharon Steadman:

 

Religion is a system of beliefs that posits supernatural beings and resolves mysterious or unexplainable phenomena; if is a set of practices and associated trappings that allows believers not only to engage the supernatural world but also to demonstrate their devotion and faith in it. It is intricately intertwined with every aspect of culture that shapes social structure; while it also in turn is shaped by it.[1]

 

Nel tradurre questo “sistema di credenze” in materialità vediamo la nascita di luoghi di culto e oggetti venerabili. Ma come riconoscere un edificio sacro? In questo senso la figura di Colin Refrew è centrale in quanto il suo è uno dei tentativi più riusciti nel mettere a fuoco quali possano essere gli indicatori di un monumento cultuale, e cioè artefatti speciali che, combinati tra loro, definiscano come sacra l’area sotto esame.

Gli indicatori lasciati da Renfrew sono sedici, e tra questi:

         Edificio situato in posizione particolare.

         Elementi simbolo (es. riti di passaggio associati ad animali).

         Investimento economico nella realizzazione di edifici.

Tenendo conto di questi punti il complesso monumentale di Göbekli Tepe sembra inequivocabilmente appartenere all’area sacrale, già testimoniata dalla sola suggestione che l’enorme manufatto trasmette.

 

1. Il sito e l’architettura

 

Il sito del colossale monumento in pietra è ubicato su una collina artificiale all’altezza di 780 m dal mare, a cavallo tra Siria e Turchia, più precisamente a circa 18 km a nordest dalla città turca di Şanlıurfa, il che sembra già corrispondere ad uno degli indicatori sopra citati, ovvero il posizionamento in una zona che copre un’area molto ampia e rialzata.

Principale indagatore del complesso è stato certamente Klaus Schmidt, che già nel 1963 studiava le “collinette” rinvenute sull’area di 9 ettari da un gruppo di ricercatori provenienti dall’università di Chicago e da quella di Istanbul. I ricercatori però preferirono concentrarsi sul vicino sito neolitico di Çayönü Tepesi piuttosto che su un cumulo di riempimento, interpretato erroneamente come cimitero bizantino. Per questo non si scaverà in situ a lungo (fino al 1994!).

Schmidt, esperto di Neolitico Pre-Ceramico, però, indagando il sito, si rese conto che sotto l’enorme cumulo artificiale di terra bruno-rossastra e pietra compatta si nascondeva un complesso riferito al Neolitico Pre-Ceramico. Le lastre di pietra interpretate come bizantine in realtà si scoprivano essere molto simili a pilastri già studiati dall’archeologo in un altro sito Neolitico Pre-Ceramico, ovvero Nevalı Çori, posto su un pendio collinare che si affaccia su un ramo del fiume Eufrate, a metà strada tra Şanlıurfa e Diyarbakır, circa 30 miglia (48 chilometri) a nord-nordest di Göbekli Tepe.

Nevalı Çori è un insediamento composto da abitazioni rettangolari che prosperò tra l’8500 e il 7600 a.C., cioè dalla fine del PPNA al periodo PPNB. Di interesse artistico e archeologico sono le numerose statue rinvenute sul posto ma, vista la ratio del mio elaborato, vorrei qui sottolineare la sua relazione con Göbekli Tepe: entrambe le strutture presentano grandi blocchi monolitici a forma di T o di L rovesciata, che dividono lo spazio in sezioni intervallate da panchine in pietra[2]

Quanto all’architettura di Göbekli Tepe, invece, è da escludere un possibile utilizzo abitativo vista la sua peculiarità: circoli di pietra semi-sotterranei (che sembrano quasi ricordare un anfiteatro), intervallati nella loro estensione da pilastri monolitici a T che segnano i recinti, dai diametri che variano dai 10 ai 20 metri e connessi da panchine litiche.

Gli strati che compongono il monumento sono tre, il più antico dei quali è datato al X millennio a.C., mentre lo strato più “giovane” sembra appartenere al IX millennio a.C. Interessante è anche il secondo strato con edifici interpretati come santuari.

 

2. Raffigurazioni e interpretazioni

 

L’orientamento dei pilastri centrali nei recinti principali di Göbekli Tepe, sia verso Deneb che il Great Rift della Via Lattea, non sono una novità del mondo antico; piuttosto potremmo dire che tutte le culture antiche pensavano quest’area dei cieli come a un ingresso nel mondo dell’aldilà. Era considerato un luogo degli dèi, una terra di antenati ma anche la fonte della creazione nell’universo. Quanto a chi o cosa volessero rappresentare, i pilastri a T rimangono un chiaro riferimento alla figura umana. Dal momento che risalgono contemporanee al monumento altre testimonianze artistiche con esiti meglio riconoscibili nei loro intenti, in questo caso si è scelto di utilizzare un codice simbolico: perché? E a cosa si riferisce? Le chiavi di lettura offerte da quanti si sono approcciati all’edificio speciale sono potenzialmente tutte corrette non potendo risalire all’esatta spiegazione.

Quanto ai pilastri centrali la loro posizione rialzata rispetto agli altri, che ne risultano quasi sovrastati, ha dato ragione di credere che possano rappresentare guardiani o supervisori di quanto accade nel circolo. In particolare, sono stati interpretati come raffigurazioni di coppie di gemelli, cari alla mitologia del periodo sotto esame.

Nonostante le figure incise sui pilastri non indossino nulla più che un perizoma in pelle animale, sono stati identificati come uomini, data la mancanza di tratti distintivi che possano indurre a una diversa conclusione. Anche questo denota una precisa volontà rappresentativa, dal momento che, in un Vicino Oriente contemporaneo a Göbekli Tepe, venivano pacificamente rappresentate figure di donne nel formato di statuette di argilla o in altro materiale: famose sono le raffigurazioni, talvolta ripetute in serie, di teste di donna in avorio spesso nella posa dell’affaccio dalla finestra. Anche questo è un motivo iconografico denso di fascino, intricato e dalle possibili rappresentazioni, che talvolta fanno appello all’usanza di “prostitute sacrali”. Ma al di là di questa mia breve divagazione, volta solo a rafforzare l’ipotesi di un chiaro e puntuale intento figurativo per Göbekli Tepe, l’esclusione di raffigurazioni femminili non necessariamente ne comporta una dalla vita dentro il circolo. È infatti sotto gli occhi di molti studiosi che la forma stessa del complesso ricorda molto da vicino un utero che, come tutto il resto all’interno del sito, non può pensarsi accidentale. Tuttavia, se pur poco sappiamo della condizione femminile del periodo, è da ritenersi molto probabile una loro totale assenza dai rituali tribali che coinvolgevano la restante parte della popolazione, ma di questo non si può avere certezza in questa sede.

 

Quanto agli altri motivi figurativi ricorrono spesso gli animali, ma sono presenti anche simboli astratti, come quella che sembra somigliare alla lettera H, nella sua posizione originale o ruotata di 90°. Altri simboli sono mezzelune, dischi e due figure umane.[3] Il primo è stato interpretato come un uomo itifallico ed acefalo. Il secondo è una persona in piedi con un lungo collo. Sopra l’individuo c’è un piccolo cane, riconoscibile dalla coda piegata sul dorso. 

Gli animali selvatici rappresentati sono diversi, troviamo predatori (ad esempio gatti), tori, cinghiali, volpi, anatre, gru, gazzelle, asini selvatici, serpenti, ragni e scorpioni. Si è notato come i serpenti siano vipere. Sono note specie di vipere altamente velenose che abitano nella regione di Urfa, la più comune delle quali è sicuramente la cosiddetta vipera levantina. Le rappresentazioni di serpenti si trovano principalmente sulla piccola faccia frontale dei pilastri. Solo in due casi troviamo rappresentazioni di serpenti sul lato posteriore di un pilastro; compaiono da soli, in coppia o in gruppi, come a creare motivi ondulati.[4]

Alcuni canidi sono raffigurati singolarmente o in combinazione con altre specie, ad esempio con uro e gru o uro e serpente.

Prova inequivocabile della presenza dei felini proviene dai pilastri del secondo strato: le proporzioni del corpo di questi animali potrebbero suggerire che siano leoni, ma la mancanza di una criniera induce a identificare la figura con un leopardo, che si trova anche in altri contesti neolitici della Mezzaluna Fertile, ad esempio a Çatal Hüyük e Tell ‘Abr’[5].

 

Quello che emerge anche da una lettura superficiale delle iconografie è che non sono animali dal forte simbolismo: è ragionevole ipotizzare che siano stati suggeriti dalla volontà di rappresentare la realtà che circondava gli uomini che vivevano nel complesso (come la rappresentazione delle specie di vipera endemica nella zona circostante): sono infatti tutti animali presenti nella fauna del periodo di rappresentazione. 

La cosa che, invece, risulta atipica è che tutti gli animali siano stati raffigurati in un momento quasi ludico: essi non sono, come ci potremmo aspettare dalle raffigurazioni contemporanee, in posizione venatoria ma sembrano quasi giocare o comunque essere “catturati” in un momento assai pacifico. Particolare anche che gli animali sembrano saltare verso l’interno del cerchio.

L’edificio inoltre inquadra e definisce le relazioni sociali. Già dal momento della sua costruzione è un luogo di forte interazione sociale, come sottolinea correttamente Bernbeck: interazione dei più contrapposta all’interazione dei pochi, che in concreto potevano prendere parte alla “vita dentro il circolo”, volutamente segnato da un numero di sedute (panchine) limitate. Che vi entrassero i membri più anziani della comunità per prendere decisioni o che fosse luogo più altamente rituale è un dilemma che rimarrà ancorato al fascino della struttura. 

Volendo provare a attribuire un significato al complesso piace, a chi scrive, ipotizzare che la forma uterina della struttura, la rappresentazione di uomini e animali insieme (nonostante quest’ultimi sempre in posizione inferiore rispetto ai primi) combinata alla presenza di sedute, siano segnacoli per un luogo di incontro e discussione, “sacralizzato” da un richiamo al culto degli antenati rappresentato dagli animali che saltano all’interno. 

 



[1] N. Laneri, Defining the Sacred. Approaches to the Archaeology of Religion in the Near Est, Oxbow Books, Oxford 2015, p. 2. «La religione è un sistema di credenze che pone l’esistenza di esseri sovrannaturali e che risolve fenomeni misteriosi o inspiegabili; se si tratta di pratiche e di relative trappole che consentono ai credenti non solo di cogliere un mondo sovrannaturale ma anche di dimostrare la loro devozione e fede in essa. È fittamente intrecciata con ogni aspetto della cultura che modella la struttura sociale; mentre a propria volta è modellata da essa».

[2] Cfr. A. Collins, Göbekli Tepe: Genesis of the Gods. The Temple of the Watchers and the Discovery of the Eden, Bear and Company, Rochester 2014, pp. 34-36.

[3] Cfr. K. Schimdt, Göbekli Tepe – the Stone Age Sanctuaries. New results of ongoing excavations with a special focus on sculptures and high reliefs, in «Documenta Praehistorica», XXXVII, 2010, Deutsches Archäologisches Institut, Orient-Abteilung, Berlin, p. 245.

[4] Cfr. J. Peters, K. Schmidt, Animals in the symbolic world of Pre-Pottery Neolithic. Göbekli Tepe, south-eastern Turkey: a preliminary assessment, in «Anthropozoologica», XXXIX (1), 2004.

[5] Ibidem.

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