Sulla concezione orteghiana dell’intellettuale a partire da alcune pagine dell’opera postuma “El hombre y la gente”

di Mattia Burcheri

Secondo il giudizio di Luciano Pellicani, nel contesto dell’«Instituto de Humanidades» di Madrid, con il corso universitario del 1949-50 dedicato a El hombre y la gente (L’uomo e la gente), si concluse il più importante capitolo della puntiforme e variegata riflessione di José Ortega y Gasset. Infatti, sebbene Ortega sia «generalmente considerato un filosofo che occasionalmente ha compiuto delle incursioni nel campo della sociologia» – scriveva Pellicani in un contributo del 1984 su Storia e sociologia secondo Ortega y Gasset –, «i suoi saggi più propriamente filosofici, e in particolare quelli epistemologici, furono scritti con il preciso proposito di preparare il terreno su cui costruire una teoria generale della struttura della vita sociale»[1]. Quest’ultima, fu elaborata da Ortega nella «sua opera più matura», L’uomo e la gente, che, oltre a costituire «il nucleo più sostanzioso del suo pensiero», è – sempre secondo Pellicani – «un trattato di sociologia in cui si trova una teoria dell’azione sociale di gran lunga più valida di molte – compresa quella, tanto conclamata quanto fuorviante, di Weber – tra quelle che godono del favore della comunità internazionale degli scienziati sociali»[2].

Senza addentrarci nel complicato quanto temerario confronto fra quel classico della sociologia che è Max Weber e il pensatore madrileno, in riferimento al profondo valore del corso L’uomo e la gente non sembra difficile confermare la posizione di Pellicani. Le sue affermazioni, infatti, non solo trovano condivisione nelle parole di un altro eminente conoscitore del pensiero orteghiano, Armando Savignano[3], ma anche solide conferme nelle testimonianze biografiche di Ortega stesso, il quale, oltre ad anticiparne l’essenza in diverse occasioni[4], arrivò persino a riconoscerlo come il culmine della sua dottrina sociologica[5]. Qui, con un rigore metodologico di chiara ispirazione fenomenologica, Ortega aveva delineato il suo intento di identificare quali oggetti, fatti, fenomeni all’interno dell’ampia gamma dell’esistente meritassero, in virtù della loro peculiare natura, di essere definiti ‘‘sociali’’ («de descubrir con irrecusable claridad, esto es, con genuina evidenzia, qué cosas, hechos, fenoménos entre todos los que hay merecen por su diferencia con todos los demás llamarse ‘‘sociales’’»[6]).

Si tratta di un’opera in cui Ortega condensa in modo chiaro ed evidente alcune delle sue opere più famose e che si articola secondo un movimento a spirale che lega prospettive sociologiche, antropologiche, storiche, politiche, filosofiche in una dottrina che, in estrema sintesi – e quindi con inevitabili semplificazioni –, si dispiega a partire dalla piena maturazione del suo «raziovitalismo»[7], il quale, coniugato ora al problema de «la aparición del Otro» e all’identificazione del tipo specifico di rapporto che intercorre tra uomo e uomo, ha condotto Ortega a riconoscere nella società ciò che egli stesso definì l’«humano deshumanizado»[8].

Tuttavia, coerentemente con l’orientamento delineato dal titolo stesso di questa trattazione, pur riconoscendo l’incontestabile rilevanza che L’uomo e la gente riveste nell’ambito delle ricostruzioni critiche e storiografiche del pensiero orteghiano, il nostro intento non è quello di intraprenderne un’esegesi al fine di scrutare le fondamenta della sua «teoria generale della struttura della vita sociale», ma di orientare la nostra attenzione verso i primi segmenti dell’opera in oggetto, mettendo a fuoco l’esplicita presa di posizione di Ortega nei confronti del panorama intellettuale contemporaneo. Questa scelta di campo è motivata dal fatto che, sebbene sistematicamente ignorata, per quanto esigua nella sua estensione, con la critica alle grossolane semplificazioni cui è andato storicamente incontro il concetto di ‘‘società’’ Ortega non solo affronta con vigore la sfida del suo tempo – il quale presumeva di poter progredire senza la guida di idee chiare e distinte riguardanti i complessi fenomeni inerenti la vita collettiva –, ma offre altresì lo spunto per una meditazione di più ampio respiro sul ruolo dell’intellettuale quale catalizzatore e direttore di cambiamento culturale, nonché di forza-guida fondamentale alla creazione e alla disseminazione di concetti che modellano la società.

Tale approccio all’opera, e più in particolare – è bene precisarlo – alle prime pagine che ne costituiscono l’incipit, schiuderà le porte ad una prospettiva pedagogica, offrendoci l’opportunità di mettere in luce come, all’interno del corpus degli scritti orteghiani, sussista un inestinguibile rapporto di reciprocità tra la sfera intellettuale e quella educativa. Una connessione che, oltre a mostrare una consapevolezza di eccezionale importanza che ha mantenuto la sua forza inalterata lungo l’intera estensione della sua produzione, potrebbe anche prestare il fianco a future letture globali del suo itinerario speculativo, offrendo una valida alternativa alle consuete periodizzazioni e disgregazioni del suo pensiero in ‘‘fasi’’[9]. Tuttavia, prima di cominciare la trattazione di questi argomenti, la prassi accademica vuole che si specifichi e puntualizzi fin da ora che quanto seguirà non potrà inserirsi in nessun modo nel contesto di un’analisi approfondita che espone il rapporto tra la sfera intellettuale e quella educativa all’interno del pensiero orteghiano. Data l’estensione esigua dell’elaborato, siamo costretti a proporne soltanto uno scarno abbozzo, limitandoci, nel concreto, a individuare nell’impegno pedagogico di Ortega la natura intima del suo pensiero, nonché la fonte e scaturigine della sua intera opera.

1. La critica al pensiero sociologico contemporaneo e la necessità di una riflessione che sappia illuminare e comprendere i fenomeni elementari e costituitivi del fatto sociale.

Allo stesso modo di quanto era stato già fatto in apertura del libro La rebelión de las masas (1930)[10], anche con l’incipit dell’opera El hombre y la gente Ortega dà avvio alla sua riflessione attraverso l’individuazione di un fenomeno, per così dire, ‘‘estetico’’. Penetrando il tessuto sociale contemporaneo, tramite una successione ritmica di termini, Ortega illustra la profusione di concetti e idee legate al contesto politico, economico, sociale e internazionale di cui la gente ‘‘parla’’. Un fenomeno, però, la cui portata non si esaurisce nella mera volgarità della conversazione popolare sugli affari pubblici, ma che rivela conseguenze ben più vaste, profonde e, soprattutto, gravi: l’insorgere dei conflitti bellici come risposta e soluzione alle tensioni e alle controversie ideologiche tra Stati[11].

Se trata de lo siguiente: Hablan los hombres hoy. A toda hora, de la ley y del derecho, de la nación y de lo internacional, de la opinión pública y del poder público, de la política buena y de la mala, de pacifismo y belicismo, de la patria y de la humanidad, de justicia e injusticia social, de colectivismo y capitalismo, de socialización y de liberalismo, de autoritarismo, de individuo y colectividad, etc., etc. Y no solamente hablan en el periódico, en la tertulia, en el café, en la taberna, sino que, además de hablar, discuten. Y no sólo discuten, sino que combaten por las cosas que esos vocablos designan. Y en el combate acontece que los hombres llegan a matarse los unon a los otros, a centenares, a miles, a millones[12].

Memore del contesto storico segnato dal recente conflitto mondiale, Ortega offre un’istantanea dello stato delle discussioni che coinvolgono l’uomo contemporaneo e riconosce nelle trivialità e grossolane semplificazioni della massa sui temi riguardanti la vita collettiva una delle sue cause scatenanti («En los atroces acontecimientos de estos años, en modo alguno estás hoy conclusos y finiquitados, ha intervenido muy principalmente, como su causa decisiva, la confusión que los contemporáneos padecen respecto a la idea de sociedad»[13]). Ma per quanto di tali questioni si discuta ampiamente e animatamente, e per quanto per tali questioni si siano impugnate armi e si siano uccisi uomini e annichilite culture e tradizioni, tutto ciò non ha prodotto un loro sostanziale chiarimento. Al contrario, scrive Ortega, «una de las desdichas mayores del tiempo es la aguda incongruencia entre la importancia que al presente tienen todas esas cuestiones y la tosquedad y confusión de los conceptos sobre las mismas que esos vocablos representan»[14].

Queste parole servono ad Ortega a mette in luce un punto cruciale che attraversa tutta l’intelaiatura del pensiero sociologico contemporaneo, ossia lo iatus che sussiste tra il fervore dei dibattiti e una comprensione autentica, tale per cui una soluzione efficace può emergere solo quando si giunge a comprendere l’idea stessa di società come fulcro di tutte le discussioni e i conflitti. Infatti, Ortega nota che concetti quali la legge, il diritto, la collettività, l’autorità, la libertà, ecc., portino con sé un ingrediente fondamentale: l’idea del sociale, il concetto stesso di società. Ma quando l’idea del sociale si fa sfuggente e non è chiara, la portata di queste parole perde significato, e le loro evocazioni diventano puri enunciati senza sostanza, vuota retorica, demagogia. Ed è solo discendendo nella battaglia delle opinioni e nello scontro tra i partiti mediante l’esercizio filosofico che è possibile sollevarsi da quella che Ortega definisce «una de las desdichas mayores del tiempo»[15]. Una disgrazia generata dall’incapacità del pensiero sociologico di definire con decisione i fenomeni basilari dell’umana convivenza, «hasta el punto de quo no es posible dirigir al profano hacia ninguna publicación donde pueda, de verdad, rectificar y pulir sus conceptos sociológicos»[16]. Infatti, Ortega puntualizza che la grossolanità e la confusione da lui denunciata «respecto a materia tal no existe sólo en el vulgo, sino también en los hombres de ciencia»[17], e, a questo proposito, in un denso riferimento autobiografico aggiunge:

No olvidaré nunca la sorpresa teñida de vergüenza y de escándalo que sentí cuando, hace muchos años, consciente de mi ignorancia sobre este tema, acudí lleno de ilusión, desplegadas todas las velas de la esperanza, a los libros de sociología, y me encontré con una cosa increíble, a saber: que los libros de sociología no nos dicen nada claro sobre qué es lo social, sobre qué es la sociedad. Más aún: no sólo no logran darnos una noción precisa de qué es lo social, de qué es la sociedad, sino que, al leer esos libros, descubrimos que sus autores —los señores sociólogos— ni siquiera han intentado un poco en serio ponerse ellos mismos en claro sobre los fenómenos elementales en que el hecho social consiste. Inclusive, en trabajos que por su título parecen enunciar que van a ocuparse a fondo del asunto, vemos luego que lo eluden —diríamos— concienzudamente. Pasan sobre estos fenómenos —repito, preliminares e inexcusables— como sobre ascuas, y, salvo alguna excepción, aun ella sumamente parcial —-como Durkheim—, les vemos lanzarse con envidiable audacia a opinar sobre los temas más terriblemente concretos de la humana convivencia[18].

Come è possibile notare, la critica che Ortega muove al pensiero sociologico è quella di non aver posto il problema, euristicamente fecondo e tipicamente filosofico del ‘‘che cos’è’’ la società, ma di aver volto la sua attenzione su cosa c’è qui presente, privilegiando un atteggiamento di tipo descrittivo e funzionale delle forme e delle strutture sociali e lasciando con ciò niente più che una serie di disquisizioni sui temi più terribilmente concreti dell’umana convivenza. E se neppure i portavoce di quella disciplina mossa dall’intenzione programmatica di rendere chiaro ed evidente cosa sia la società si sono mostrati capaci di conseguire tale intento, non ci si stupisca che questa chiarezza non la si trovi neppure nei suoi stati più bassi e profondi, dal momento in cui, come Ortega stesso aveva già intuito nel 1923, «de lo que hoy se empieza a pensar depende lo que mañana se vivirá en las plazuelas»[19]. Di conseguenza, non dovrebbe nemmeno stupire il fatto che, sia pure nella confusione e nella vaghezza dei concetti che gli uomini esprimono e difendono, si arrivi ancora a impugnare un’arma per imporli ovunque. Essendo sprovvisto di definizioni e argomentazioni, all’uomo non resta che sbattere i pugni e imporre la propria forza, sia sul piano individuale, come visto con La ribellione delle masse, sia sul piano collettivo, come dimostra l’abisso delle due guerre mondiali: «He aquí cómo la ineptitud de la sociología, llenando las cabezas de ideas confusas, ha llegado a convertirse en una de las plagas de nuestro tiempo. La sociología, en efecto, no está a la altura de los tiempos; y por eso los tiempos, mal sostenidos en su altitud, caen y se precipitan»[20].

2. Il ruolo dell’intellettuale

Con le poche pagine che contengono la critica al pensiero sociologico contemporaneo, Ortega mostra chiaramente quella che fu una delle caratteristiche della sua opera rimasta pressoché invariata fin dalle sue prime pubblicazioni, vale a dire il suo configurarsi, in ciò che vi è di profondo ed essenziale, come il riflesso di un autore di cui «vocación intelectual y la vocación pedagógica»[21] si fanno parti di un unico momento inscindibile. Non si tratta, come potrebbe sembrare a prima vista, di una semplice suggestione, dal momento in cui Ortega, già nel 1910, partendo dal riconoscimento che «hay que educar la ciudad para educad al individuo», chiedeva all’uditorio della conferenza dal titolo programmatico La pedagogía social como programa político: «cómo, en efecto, mejorar a España seriamente si no tenemos una idea un poco exacta de lo que debe ser una sociedad?»[22].

Con la conferenza di Bilbao Ortega mostra non solo la consapevolezza che senza una idea chiara di cosa è che sia la ‘‘società’’, di ciò che comporti in termini di organizzazione, interazioni umane, dinamiche sociali qualsiasi sforzo di miglioramento manca di direzione e scopo, ma, sia pure in modo latente, riconosceva agli intellettuali la responsabilità di assumere il ruolo di guida e punto di riferimento, nonché di fornire chiarezza e direzione nei dibattiti e nelle decisioni sul progetto della Nazione: questo è il compito che Ortega stesso si è attribuito e che ha cercato di assolvere lungo la sua intera esistenza, nonché la responsabilità che, in qualità di intellettuale, ha sentito su di sé di portare la filosofia al servizio della politica e della vita sociale nel suo insieme, operando in vista di un rinnovamento della cultura del suo Paese attraverso una radicale riforma del pensiero[23].

A questo proposito, in un libricino comparso a Napoli nel 1971 dal titolo Antropologia ed etica di Ortega y Gasset, Pellicani scriveva: «Ortega accettò la sua ‘‘circostanza’’ – la Spagna dei primi anni del secolo – come il suo ‘‘destino’’ e sentì come un irrecusabile dovere la ‘‘missione’’ di risvegliare intellettualmente e moralmente il suo paese. In particolare egli avvertì l’urgenza di iniettare nella cultura spagnola un germe di cui essa era stata sempre priva: la riflessione filosofica»[24]. Da ciò si capisce anche chi, scorgendo sullo sfondo della sua produzione i lineamenti di una «pedagogia civica», abbia individuato nel tema/problema pedagogico l’unico ad essere resistito al tempo e alle periodizzazioni cui è andato incontro il suo pensiero, arrivando, in alcuni casi, a riconoscervi la cifra che più di ogni altra ha caratterizzato la sua filosofia[25].

Pur non potendo riportare in modo puntuale e rigoroso i pochi ma importanti contributi che hanno sostenuto questa posizione, possiamo almeno riconoscere che, al di là dell’evidente complessità delle concezioni orteghiane, della policromia delle posizioni man mano elaborate e sostenute, della molteplicità degli oggetti presi in esame, della varietà di riflessioni e intuizioni disseminate lungo la costellazione dei suoi articoli (libri, conferenze, interventi pubblici), sembra celarsi una profonda coerenza interna derivata dall’interesse imperturbato e costante di Ortega «per l’uomo e per la sua vita, per la sua autoformazione e per la sua realizzazione»[26]. Si tratta di quello che, almeno nelle sue fasi iniziali, si è configurato come uno fra i grandi temi della sociologia, e in particolare comtiana, basata sull’impegno sociale degli intellettuali chiamati a utilizzare le proprie ricerche e le proprie riflessioni per risolvere i problemi del proprio tempo.

Un coinvolgimento di Ortega all’interno delle complicate trame della vita spagnola che avrebbe richiesto, però, una radicale riformulazione della figura dell’intellettuale, la quale, sino ad allora, si trovava del tutto incapace a esercitare un’efficacia sociale concreta. Riconoscendo, infatti, che il proprio popolo fosse legato «ad una struttura della società e della politica di fatto assai arretrata»[27] – e, con ciò, che non avrebbe riservato alcuna attenzione verso ciò che fosse distaccato e solenne accogliendo invece soltanto ciò che rientrasse del quotidiano e volgare – Ortega si pose come compito imprescindibile quello di riattivare l’eco delle antiche memorie del filosofare ellenico, discendendo nella vita comune e consentendo al suo pensiero e alla sua opera di sgorgare all’interno di quella piazza intellettuale che, a suo tempo, trovava nell’ambito del giornalismo la sua quintessenza.[28]

Ortega stesso, nel 1932, a proposito di tale ‘‘missione’’, così si espresse: «he aceptado la circunstancia de mi nación y de mi tiempo. España padecía y padece un déficit de orden intelectual. Había perdido la destreza en el manejo de los conceptos que son —ni más ni menos— los instrumentos con que andamos entre las cosas. Era preciso enseñarla a enfrontarse con la realidad y transmutar ésta en pensamiento, con la menor pérdida posible»[29]. Non possiamo sapere se la perdita a cui si riferisse Ortega fosse quella di non poter elaborare, sulla base di un pensiero che sgorgasse «en la charla amistosa, en el periódico, en la conferencia», un sistema filosofico organicamente strutturato. Rimane il fatto che, per quanto la sua scelta di campo sia sfociata – soprattutto negli anni successivi alla sua morte – in accuse di asistematicità da parte dei suoi critici, in essa si concreta e si fa visibile la responsabilizzazione dell’intellettuale in vista di un coinvolgimento diretto di questo all’interno della vita pubblica, rompendo così con una plurisecolare tradizione che vedeva la sua attività relegata ai soli studi specialistici e accademici. Infatti, «convinto che l’intellettuale non dovesse limitarsi a vivere un’esistenza separata dalla realtà, puramente dedita alla ricerca, Ortega credeva che il suo compito come docente universitario fosse quello di risvegliare le coscienze attraverso una profonda riforma culturale, una formazione individuale e collettiva che proprio dall’Università doveva partire. La consapevolezza del proprio ruolo di educatore lo spinse infatti a rapportarsi costantemente al mondo esterno, alla società, con il fine di trasformarla»[30].


[1] L. Pellicani, Storia e sociologia secondo Ortega y Gasset, in Id. e L. Infantino (a cura di), Attualità di Ortega y Gasset, Le Monnier, Firenze 1984, p. 115 e seg.

[2] L. Pellicani, La teoria orteghiana della modernità, in Id. e M. C. Federici (a cura di), Rileggere Ortega y Gasset in una prospettiva sociologica, Maltemi, Milano 2018, p. 17.

[3] Il quale sottolinea la necessità di ricondurre la «visione sociologica e storico-politica» di Ortega al concetto di «ragione storica», con tutte le implicazioni sul piano epistemologico. Cfr. A. Savignano, Introduzione, in J. Ortega y Gasset, L’uomo e la gente, Mimesis, Milano 2016, p. 7 e seg.

[4] Da un punto di vista storiografico, la prima volta in cui Ortega delineò in modo inequivocabile la sua teoria generale della società risale alla Conferenza di Valladolid del 1934, durante la quale propose pubblicamente l’idea degli  «usi» come base fondamentale delle azioni che le persone compiono per rapportarsi alle svariate situazioni ove si dispiega insieme agli altri esseri umani la loro esistenza («una norma del comportamiento – intelectual, sentimental o fisico – que se impone a los individuos, quieran estos o no […] el autentico poder social, anónimo, impersonal, independiente de todo grupo o individuo determinado». Cfr. J. Ortega y Gasset, El hombre y la gente. Conferencia en Valladolid, in Id., Obras Completas, Tomo IX, Taurus, Madrid, 2009, pp. 166-174). Successivamente tenne corsi e conferenze sullo stesso tema in diverse parti del mondo – tra le quali si vuole ricordare in modo particolarmente rilevante la Conferenza di Rotterdam (cfr. J. Ortega y Gasset, El hombre y la gente, in Id., Obras Completas, Tomo IX, pp. 203 – 217) -, preparando la pubblicazione dell’opera sulla base del corso sopramenzionato del 1949-’50. Tuttavia, la morte improvvisa di Ortega impedì la realizzazione del progetto, pubblicato postumo dalla Revista de Occidente, della quale Ortega fu fondatore, Direttore e alla quale si deve la pubblicazione delle sue Obras Completas.

[5] A tal proposito Pellicani ricorda che Ortega, «a partire dal 1928, ripetutamente annunciò la stesura di due opere in cui avrebbe condensato le conclusioni delle sue ricerche teoriche: in una di esse – El hombre y la gente – avrebbe disegnato una statica sociale, nell’altra – Aurora de la razón histórica – una dinamica sociale». Cfr. L. Pellicani, Storia e sociologia secondo Ortega y Gasset, cit., p. 115.

[6] J. Ortega y Gasset, El hombre y la gente, in Id., Obras Completas, Tomo VII, Madrid, Revista de Occidente, 19642, p. 113.

[7] Non a caso Armando Savignano, in riferimento al libro L’uomo e la gente, lo definisce «la cifra e il compendio della sua evoluzione filosofica». Cfr. A. Savignano, Introduzione, cit., p. 8.

[8] J. Ortega y Gasset, El hombre y la gente, cit., p. 199.

[9] Nell’ambito della critica filosofica che ha esplorato l’evoluzione del pensiero di Ortega, si vuole ricordare, a titolo di esempio, la posizione di Armando Savignano, il quale ha delineato quattro distinte fasi di sviluppo espresse in un «periodo giovanile», un «periodo antropologico», un «periodo ontologico» e un non ulteriormente precisato periodo in cui «si produce una ‘‘radicalizzazione’’ dell’idea di filosofia e di pensare, in rapporto, forse, con quel pessimismo e ansia di sistema, non disgiunti dalle preoccupazioni per la situazione socio-politica spagnola e europea, soprattutto, quale conseguenza della fecondità metodologica-sistematica della pratica della ragion storica, spinta fino alle estreme implicazioni.» Cfr. A. Savignano, La filosofia di J. Ortega y Gasset, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», Vol. 75, No. 3 (luglio-settembre 1983), pp. 433–435. Personalmente ritengo che, sebbene egli abbia in parte corretto e ridimensionato alcune tesi in precedenza avanzate, alimentando indirettamente la pratica assai in uso presso i critici di suddividere gli itinerari filosofici in fasi, tutta la sua opera ha mantenuto nel corso del tempo una sostanziale unità tematica che, partendo dalla critica al paradigma realista e idealista quali prospettive filosofiche da abbandonare e superare, si dispiega come una disposizione analitica – secondo la destinazione semantica che Ortega stesso attribuisce a questo termine in Origine ed epilogo della filosofia – di pensieri che scaturiscono da un «primo pensiero» e che procedono secondo «un’analisi progressiva». Cfr. J. Ortega y Gasset, Origen y epilogo de la filosofia, in Id., Obras Completas, Tomo IX, Madrid, Revista de Occidente, 1983, p. 350 e sgg. Questo primo pensiero, questa unità tematica, è la «realtà radicale» – o, continuando a convincerci che sia possibile racchiudere il senso della vita in una formula – il suo «raziovitalismo». A tal proposito, trovo interessante notare che molti studi che già dal titolo dichiarano di occuparsi di un aspetto specifico del pensiero orteghiano inizino in modo del tutto indifferenziato esaminando in profondità la celebre espressione del Quijote «io sono io e la mia circostanza», vale a dire, per l’appunto, la formula che meglio esprime, sia pure in modo lapidario, il raziovitalismo orteguiano. E ciò perché, che si occupi di sociologia, di antropologia, di estetica, politica o storia delle idee, Ortega parte dalla teoria della realtà radicale e vi ritorna.

[10] J. Ortega y Gasset, La rebelión e las masas, in Id, Obras Completas, Tomo IV, Madrid, Revista de Occidente, 19666, pp. 111 – 310.

[11] In accordo con l’analisi di Luciano Pellicani, nell’ambito del pensiero di Ortega y Gasset, l’ideologia è da considerare come «l’orientamento generale degli spiriti». Quest’ultimo, non si limita a essere una semplice interpretazione più o meno coerente del mondo, ma possiede anche un forte carattere normativo e assiologico. In altre parole, l’ideologia non si limita a delineare una visione del mondo, ma è anche un sistema di valori morali e giudizi di valore. È, in ultima analisi, una combinazione di interpretazioni e piani d’azione. Ciò che rende particolare e distintiva questa prospettiva è il fatto che l’ideologia mantiene il suo carattere di «idea inconsapevole». Su ciò cfr. L. Pellicani, Introduzione a Ortega y Gasset, Liguori, Napoli, 1978, p. 62.

[12] J. Ortega y Gasset, El hombre y la gente, cit. p. 79.

[13] Ivi p. 113.

[14] Ivi p. 80.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Ivi p. 80 e seg.

[19] J. Ortega y Gasset, El tema de nuestro tiempo, in Id., Obras Completas, Tomo III, Revista de Occidente, Madrid, 19666, p. 156

[20] Ivi p. 82.

[21] Cfr. Á. Casado, Ortega y a educación. Perfiles de una trayectoria, in «Revista española de pedagogía», LIX, 220 (2001), pp. 385–401.

[22] J. Ortega y Gasset, La pedagogía social como programa político, in Id., Obras Completas, Tomo I, Madrid, Revista de Occidente, 19667, p. 515.

[23] Cfr. E. Macinai, Il filosofo nella plauzela. Gli albori della pedagogía social di Josè ortega y Gasset, in «Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education», IX, 3 (2014), p. 102.

[24] L. Pellicani, Antropologia ed etica di Ortega y Gasset, Napoli, Guida Editori, 1971, p. 8.

[25] Cfr. R. McClintock, Man and his circumstances. Ortega as educator, New York, Teachers College Press, 1971.

[26] E. Macinai, Il filosofo nella plauzela. Gli albori della pedagogía social di Josè ortega y Gasset, cit., p. 115.

[27] Cfr. P. Scotton, Educazione alla vita politica. Individuo e società nel pensiero di José Ortega y Gaset, a partire dalle Meditaciiones del Quijote (1914), in «History of Education & Children’d Literature», IX, 2 (2014), p. 604.

[28] Discendente da una famiglia di eminente tradizione giornalistica, con genitori entrambi attivi nel settore, Ortega si distinse per la collaborazione con un vasto assortimento di riviste, di cui El Imparcial, fondata dal nonno, fu una delle più prestigiose. Fu inoltre fondatore della Revista de Occidente e della rivista El Sol. La maggior parte delle opere da lui pubblicate non furono altro che volumi in cui Ortega raccolse gli articoli di un periodo specifico e concernenti lo stesso argomento. Va anche ricordato che, a partire dall’assunzione della carica di Direttore della Biblioteca de las Ideas del Siglo, sostenne attivamente la traduzione e la diffusione in Spagna delle opere cardine di intellettuali quali Freud, Jung, Simmel, Husserl, Einsetin, Scheler, manifestando l’impegno all’espansione della conoscenza attraverso la promozione dei contributi intellettuali imprescindibili alla comprensione del panorama filosofico contemporaneo.

[29] J. Ortega y Gasset, El quehacer del hombre (Registrado en disco el 30 de junio de 1932), in Id., Obras Completas, Tomo IV, Revista de Occidente, Madrid, 19666, p. 367.

[30] P. Scotton, Bildung e Università. La filosofia classica tedesca nella riflessione pedagogica novecentesca tra Spagna e Stati uniti, in C. De pascale, M. V. D’alfondo, R. Formisano (a cura di), La nuova Bildung. Riflessioni tra filosofia e pedagogia nella filosofia classica tedesca, «Annali online della Didattica e della Formazione Docente», XII, 19 (2020), p. 212.

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