Recensione a:
Georg Trakl
Gli ammutoliti. Lettere 1900-1914
Quodlibet
Macerata 2006
Pagine 238
€ 16,50
di Marcosebastiano Patanè
Agli ammutoliti, An die Verstummten, di Georg Trakl è il titolo di una poesia appartenente al gruppo di componimenti chiamato Siebengesang des Todes, Canto a sette voci della morte. È sotto la tutela dei versi de Agli ammutoliti che la corrispondenza di Trakl viene consegnata alla traduzione italiana, un carteggio che comprende le lettere inviate e ricevute dal poeta salisburghese tra il 1900 e il 1914. L’epistolario è aperto da due lettere eccentriche e dal significato oscuro inviate da Chën Lin, un personaggio sconosciuto, e scritte in Volapük, una lingua internazionale inventata da Johann Martin Schleyer, cui non segue alcuna risposta. Chiudono la raccolta due missive del 27 ottobre 1914 inviate da Trakl a Ludwig von Ficker, amico, collaboratore e ammiratore fedele del poeta.
Le lettere raccolte nel volume presentano scambi di ogni tipo, dai biglietti alle cartoline, dalle comunicazioni di servizio alle lettere personali indirizzate a familiari, amici, collaboratori e ammiratori. Soprattutto, l’epistolario è ricco di poesie: prime stesure, correzioni e rielaborazioni sono costantemente presenti lungo tutto l’arco temporale della corrispondenza di Trakl e il linguaggio, i temi e le immagini della poesia trakliana emergono con evidenza anche nella prosa delle lettere. Alla sorella Maria Geipel-Trakl in una lettera di fine ottobre 1908 Trakl scrive:
Immagino che il Kapuzinerberg sia già esploso nel rosso fiammeggiante dell’autunno e che il Gaisberg abbia indossato una veste delicata che si addice perfettamente ai suoi contorni delicati. Il carillon della letzte Rose si spande nella sera solenne e quieta, animata di una tale dolcezza che il cielo s’inarca sino all’infinito! E la fontana canta melodiosamente sulla Residenzplatz e il Duomo getta ombre maestose. E il silenzio si accresce e va per piazze e strade (p. 19).
In una lettera indirizzata a Irene Amtmann (autunno 1910 o 1911, la datazione è incerta) Trakl scrive: «Mi capita di vagabondare per giorni, ora per boschi ormai rossissimi e ventosi, dove adesso i cacciatori braccano la selvaggina, ora per strade in quartieri tristi e solitari» (p. 38).
I colori decisi, quasi violenti, il tema ricorrente delle stagioni, l’autunno in particolare, i luoghi della terra d’origine, in questo caso la città di Salisburgo, le montagne, il Gaisberg, le colline, il Kapuzinerberg, e i boschi, così come il cielo, non sono solo i motivi occasionali di qualche lettera ma sono anche alcuni dei temi fondamentali del linguaggio poetico di Trakl. Nei versi di una correzione della poesia Trompeten, Trombe, inviata all’amico intimo Erhard Buschbeck nel novembre del 1912 si può leggere: «E foglie turbinano, suonano trombe. Lutto di cimitero. / Bandiere di scarlatto irrompono nel lutto dell’acero, / Cavalieri lungo i campi di segale, mulini vuoti» (p. 57); in una lettera del gennaio 1913, sempre indirizzata a Buschbeck, si possono leggere i versi della poesia Am Rand eines alten Wassers, Sul bordo di un’antica sorgente, il penultimo verso recita: «Rosso dell’autunno, il mugghio dell’acero nell’antico parco» (p. 72). La prosa della corrispondenza trakliana mostra una naturale continuità con la parola dei versi.
Nel 1910 Ludwig von Ficker fonda a Innsbruck la rivista Der Brenner. Il nomeprende ispirazione sia dal passo del Brennero che dalla rivista Der Fackel, anch’essa con sede a Innsbruck, di Karl Kraus, il quale contribuì enormemente alla diffusione del Brenner ben oltre la regione del Tirolo. «Il Brennerkreis (circolo del “Brenner”) è la vera tana di Trakl», scrive Pizzingrilli nel suo saggio posto alla fine del volume e intitolato Idea di biografia, «gli amici del “Brenner” lo aiutarono, lo finanziarono, lo promossero» (p. 195); la rivista fu per Trakl una casa e un rifugio, un luogo cui appartenere: «A partire da Psalm (Salmo), le sue poesie appaiono regolarmente sul “Brenner”. Occasionalmente Trakl vi racconta di sé – quando si gettò davanti a un cavallo imbizzarrito, come misteriosamente lo attrasse l’acqua» (pp. 198-199), un’attrazione che lo spinse, giovanissimo, a tentare il suicidio per annegamento.
Il 4 gennaio del 1912 Trakl conosce Karl Kraus in occasione di una conferenza organizzata da Ficker, un evento cui parteciparono persone provenienti da tutto il Tirolo. Qualche mese più tardi, Kraus pubblicò sulla Fackel un aforisma in cui definì Trakl «Siebenmonatskinder (“settimino”)» e vi stabiliva «una comune inattualità fra sé e il poeta: l’uno nato prematuramente, l’altro tardivamente, entrambi con lo stesso desiderio – tornare alla madre» (p. 55). Dal gennaio 1912 Trakl e Kraus non smisero mai di frequentarsi, come dimostra la corrispondenza.
Il 13 dicembre 1913 Trakl invia una lettera a Kraus con la prima stesura della poesia Ein Winterabend, Una sera d’inverno: «Egregio Signor Kraus, in questi giorni sono venuti fuori dei versi di folle ubriachezza e dissoluta malinconia, La prego di accettarli come espressione della mia venerazione per un uomo esemplare come nessuno al mondo» (p. 140).In Unterwegs zur Sprache, In cammino verso il linguaggio, Heidegger analizza la poesia nel primo capitolo intitolato Il linguaggio, una conferenza tenuta per la prima volta nel dicembre del 1950, mentre nel secondo, Il linguaggio nella poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl, un saggio del 1953, Heidegger analizza per intero la produzione trakliana al fine di tentarne una Erörterung.
Nella raccolta di poesie Canto a sette voci della morte si trova anche la poesia Karl Kraus: «Bianco sacerdote sommo della verità, / voce cristallina, in cui dimora di Dio il gelido respiro, / mago furente, / cui sotto fiammeggiante mantello l’azzurra corazza del guerriero tintinna»[1]. Nella lezione heideggeriana, l’azzurro delle poesie di Trakl è il Sacro, non una sua immagine, non un richiamo, ma il Sacro stesso: «L’azzurro stesso è – grazie alla sua profondità che raccoglie [il disperso], e che splende solo nell’occultamento – il Sacro»[2].
In una lettera successiva alla morte di Trakl, Kraus scrive a proposito dell’amico: «“Egli non è una vittima della guerra. Mi è sempre stato incomprensibile come potesse vivere. La sua follia lottava contro eventi divini”» (p. 225). Ficker osservò in seguito che la mancata concretizzazione di una vera e propria collaborazione tra Kraus e Trakl fu dovuta alla sostanziale divergenza tra la natura di idealista «“con un saldo orizzonte intellettuale”» (ibidem) di Kraus e quella estranea al proprio tempo di Trakl.
Nel dicembre del 1952 Heidegger scrive a Ficker: «“L’immagine del busto di G. Trakl è davanti a me, sul mio tavolo di lavoro […] è un’autentica fortuna poter seguire questo sguardo, sia pure a passi incerti, nella lontananza dell’essenziale, da cui soltanto Dio parla”» (p. 229); subito dopo, nel gennaio del 1953, Heidegger continua: «“Chiunque lo vede ne resta colpito. Nell’immagine giovanile è il mattino a guardarti; penso sempre a un pastorello: ‘Hirten gingen wir einst an dämmernden Wäldern hin’ (Pastori ci addentrammo un tempo per boschi al crepuscolo)”» (ibidem).
Nonostante l’epistolario appaia pervaso dal sentimento amicale, scrive Pizzingrilli, la vita di Trakl «appare a-relazionale, aplous, si direbbe con un termine evangelico, inetta alla navigazione» (p. 189), le sue relazioni, la dinamica quotidiana dei suoi rapporti privati e pubblici, mostrano una radicale estraneità nei confronti del proprio tempo e unaltrettanto radicale distanza dalla società. In una lettera del febbraio 1913 inviata da Salisburgo a Karl Borromaeus Heinrich Trakl scrive: «Strani brividi di metamorfosi percepiti fisicamente fino all’intollerabile, volti di tenebra fino alla certezza d’essere morto, estasi fino alla pietrificazione; e una sequenza di sogni tristi. Quanto è cupa questa città marcia, piena di chiese e di immagini di morte» (p. 75). A Irene Amtmann Trakl scrive: «La parola d’ordine per gente come noi è: avanti verso te stesso!» (p. 38)
Partito per il fronte orientale nell’agosto del 1914, tra la fine di settembre e i primi giorni di ottobre Trakl è coinvolto con il suo reparto nell’offensiva russa in Galizia dalle parti di Grodek. L’esercito austroungarico subisce una pesante sconfitta. La violenza della battaglia, il numero di morti e feriti e l’impotenza davanti a un tale sconvolgimento feriscono Trakl profondamente.
Dall’ospedale del presidio di Cracovia Trakl invia le sue ultime due lettere il 27 ottobre 1914, entrambe indirizzate a Ficker. Nella prima, Trakl scrive: «Dalla sua visita in ospedale, il coraggio della disperazione mi si è raddoppiato. Mi sento già quasi oltre il mondo» (p. 175). A seguire, sempre nella prima lettera, due poesie, tra le più celebri del poeta: Klage, Lamento, e Grodek, entrambe appartenenti alla raccolta Offenbarung und Untergang, Rivelazione e Caduta. Nella seconda lettera un’altra poesia, una rielaborazione di Menschliches Elend, Miseria umana, dalla raccolta De Profundis e una correzione della poesia Traum des Bösen, Sogno del male, dall’omonima raccolta. Nella seconda lettera Trakl si congeda così: «Di nuovo i più cordiali saluti – al Tirolo, a Lei e a tutti i cari. Suo Georg Trakl» (p. 177).
Grodek
Risuonano la sera i boschi autunnali / Di armi mortali, le pianure dorate / e gl’azzurri laghi, al di sopra il sole / Rotola più malinconico; la notte avvolge / Guerrieri morenti, il selvaggio lamento / Delle loro bocche squarciate. / Ma muta s’ammassa nel saliceto / Rossa nuvolaglia, dentro si stanzia un Dio adirato / Il sangue sparso, freddezza lunare; / Tutte le strade sboccano in nera putrefazione. / Sotto rami dorati di notte e stelle / Ondeggia l’ombra della sorella nel tacito luculo, / A salutare gli spiriti di eroi, le steste sanguinanti; / E lievi risuonano nelle canne i cupi flauti dell’autunno. / O più maestoso lutto! Voi bronzei altari, / L’ardente fiamma dell’anima nutre oggi un immenso dolore, / I discendenti non-nati (p. 176).
L’estraneità di Trakl è l’estraneità che scaturisce da una conoscenza così radicale del proprio tempo da indirizzare sui sentieri dell’inattualità. Trakl, il Siebenmonatskinder, il prematuro, non apparteneva al suo tempo; egli non apparteneva alle città corrotte e in disfacimento, alle lugubri stanze in affitto, agli imperi in decomposizione, al martellare delle fabbriche, allo sfacelo di intere generazioni destinate al macello. Da estraneo, dunque, egli ha parlato dal luogo distante ed essenziale della sua poesia al proprio tempo, ai suoi contemporanei. Non da estraneo, Trakl ha parlato per e agli ammutoliti, ha testimoniato, con la sua vita e la sua opera, l’evento stesso dell’ammutolimento.
Agli ammutoliti
O, delirio della città gravida, qui a sera / Alberi deformi insistono su nere muraglie, / Da una maschera d’argento lo spirito del male osserva; / Luce a frusta magnetica si sbarazza della notte di pietra. / O, assorto suono di campane nella sera. / Prostituta, fra orrori gelidi che partorisce un bebè morto. / Furiosa, l’ira di Dio sferza la fronte del posseduto, / Piaga purpurea, smania, che strazia occhi verdi. / O, spaventoso ridere dell’oro. / Ma in buia cavità sanguina silenzioso un umano più muto, / Con duri metalli commette la testa che viene a liberare (pp 189-190).
Ma distanza, estraneità e ammutolimento non significano isolamento, inazione e passività. Il conosci te stesso trakliano («la parola d’ordine per gente come noi è: avanti verso te stesso!»), scrive Pizzingrilli, è «una macchina d’assedio che trama nella “buia cavità” (in dunkler Höhe), è sogno e rêverie di Sebasitano» (p. 227). Nell’oscurità velata, sanguinante e silenziosa, nel cuore del tempo obliato, resiste un tempo nuovo, una speranza di luce e di libertà, di salvezza dal male imperante, dalla corruzione e dal decadimento: «Aber stille blutet in dunkler Höhle stummere Menschheit, / Fügt aus harten Metallen das erlösende Haupt», «Ma in buia cavità sanguina silenzioso un umano più muto, / Con duri metalli commette la testa che viene a liberare» (p. 190).
Questa speranza è incarnata anche da quei «discendenti non-nati» dell’ultimo verso di Grodek che non sono, come spiega Heidegger, «i figli non generati dei figli caduti provenienti dalla stirpe in disfacimento. Se si trattasse solo di questo, cioè dell’interruzione del processo procreativo delle generazioni, il poeta dovrebbe gioire di una tale fine»[3]. Se la stirpe in disfacimento è quella del primo verso della seconda strofa de Agli ammutoliti, «Hure, die in eisigen Schauern ein totes Kindlein gebärt», «prostituta, fra orrori gelidi che partorisce un bebè morto» (p. 190), i «discendenti non-nati» sono il frutto di una stirpe futura contraddistinta da una nuova forza spirituale, da un nuovo mattino, mentre l’attuale consuma se stessa e l’ammutolito lavora da esule in terra straniera, un germe di salvezza dentro un corpo putrefatto.
Scrive Pizzingrilli: «L’agencement trakliano si configurerebbe più che come forma dell’essere-per-la-morte, quasi una termodinamica, come piede veloce del disfattismo» (p. 207). A tal proposito, un episodio raccontato da Joseph Oberkofler potrà forse offrire qualche spunto sulla Stimmung trakliana:
“Era già notte inoltrata e Georg Trakl mi pregò di prendere posto sul suo slittino […] fu un viaggio che non scorderò mai più. Georg Trakl, taciturno, sembrava rapito dal paesaggio e dimentico di chi l’accompagnava. Non guidava una slitta, era un proiettile che sfrecciava sul ghiaccio e sulla neve […] non mi restava altro che affidarmi ciecamente all’abilità di guidatore di Georg Trakl […] con sicurezza micidiale incanalava nella strada la slitta sibilante e sovraccarica, davanti a tronchi, massi e detriti […] non so proprio dire come abbia fatto Georg Trakl a dominare il pericoloso paesaggio. Nei miei ricordi è rimasto soltanto il suo modo di guidare taciturno, in qualche modo giocoso, come se il veicolo fosse controllato dal suo istinto sonnambolico” (Erinnerung an Georg Trakl cit., p. 129) (pp. 209-210).
Nel suo voyage au bout de la nuit, l’ammutolito, come Trakl sullo slittino, nocchiero spregiudicato nell’oscurità nevosa, sotto le stelle dischiuse dalla notte, è proteso verso una promessa di luce, verso se stesso e verso un nuovo mattino. In una lettera del 15 agosto 1913 a Buschbeck Trakl scrive: «Caro, il mondo è rotondo. Sabato scendo giù a Venezia. Sempre avanti – verso le stelle» (p. 122).
[1] G. Trakl, Le poesie (Die Dichtungen, 1919), trad. di V. degli Alberti ed E. Innerkofler, Garzanti Editore, Milano 2024, pp. 204-205.
[2] M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio (Unterwegs zur Sprache, 1959), a cura di A. Caracciolo, trad. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti, Mursia, Milano 2019, p. 51.
[3] Ivi, p. 67.